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‘Cinque anni senza risultati per il Sud’, FdI lancia la sfida in Irpinia

Ad Avellino abbiamo incrementato il numero degli iscritti rispetto allo scorso anno, sono fiducioso sul lavoro che stiamo portando avanti in Irpinia e in Campania”. Antonio Iannone è il presidente regionale di Fratelli d’Italia, partito che il 18 novembre celebrerà il congresso provinciale in Irpinia e che il 2 e il 3 dicembre prossimi a Trieste si ritroverà per il secondo Congresso Nazionale, utile a “rinnovare gli organismi e a definire la linea politica del gruppo e le alleanze in vista degli importanti appuntamenti elettorali del 2017”. Il congresso, presso l’Hotel de la Ville, sarà presieduto dai reggenti del partito Marco Dragone, Maria Paola De Stefano e Paolo Piciocchi e vedrà tra i relatori anche giovani amministratori esponenti del partito locale, il consigliere regionale Passariello e l’on. Edmondo Cirielli.

Linea politica e alleanze che sembrano proiettate verso il modello Sicilia, dove alle Regionali il centrodestra si è presentato compatto e ha vinto.

Modello Sicilia e direi anche modello Ostia. Entrambe le vicende ci dicono che quando il centrodestra si presenta unito, risulta competitivo e vincente. I candidati vincitori, come Musumeci, sono espressione della destra, sono stati fortemente voluti da Giorgia Meloni e sono risultati credibili rispetto a un Partito Democratico che a livello nazionale, ma mi permetta di dire anche regionale e irpino, ha inanellato un disastro dietro l’altro. Dopo due anni di De Luca in Regione non vediamo nulla di buono, mentre ad Avellino siamo di fronte a un’amministrazione che si trascina stanca. Noi siamo il volto di un centrodestra nuovo, basato su presupposti nuovi che puo’ avanzare una proposta di governo credibile. Credibilità e unità che a livello nazionale può garantire la figura di Giorgia Meloni, mentre sui territori può contare su tante nuove energie.

Lei parla di disastro a tutti i livelli. Nelle ultime settimane abbiamo visto diversi ministri in Irpinia, l’ultimo venerdì è stato Claudio De Vincenti che ha rimarcato quanto è stato fatto per il Sud e la provincia di Avellino dai governi Pd. Provvedimenti come la legge sui Piccoli Comuni o progetti come la Strategia nazionale per le Aree interne, il Patto per il Sud con gli investimenti sulle infrastrutture. Tutto da rifare?

Guardi, noi siamo una destra moderna che si pone dalla parte dei cittadini, patriottica in questo senso, quindi se c’è del buono siamo pronti a riconoscerlo. Mi fa piacere che abbia citato la visita di De Vincenti perché questo mi consente di dire due cose. La prima è che i governi del Partito Democratico si sono caratterizzati per continui annunci di provvedimenti che però, trascorsi cinque anni, ancora non hanno prodotto il minimo risultato. Sono scettico quindi che si possa arrivare a qualcosa di concreto nei prossimi quattro mesi, in piena campagna elettorale e con un clima di totale smobilitazione del Parlamento dove peraltro non è più chiaro se al Senato ci sia o meno la maggioranza e Gentiloni è costretto a ricorrere alla stampella dei verdiniani. Il provvedimento sui Piccoli Comuni sarebbe anche rispettabile se consideriamo che sono stati capaci di distruggere le Province e oggi abbiamo, al di fuori delle aree metropolitane, interi territori abbandonati dove le strade sono interrotte e le scuole a rischio, nonostante i cittadini paghino ugualmente le tasse. Sono realtà ricche di tradizione e cultura, ma soggette alla disantropizzazione, dove i giovani vanno via perché non trovano possibilità di restare. Il punto è che la legge riguarda oltre 5mila Comuni e le risorse a essa destinate non servirebbero neppure a installare una fontana. Parliamo di una cifra ridicola per cui anche questo provvedimento si inserisce nella tradizione dei grandi annunci senza sostanza di Renzi e del Pd.

La seconda osservazione che voleva fare qual è?

Non basta nominare un ministro per il Mezzogiorno, quale appunto De Vincenti, per dare risposte al Meridione. In questi anni il divario tra Nord e Sud, su welfare e sanità ad esempio, è cresciuto. Noi crediamo che il Mezzogiorno debba avere la priorità assoluta nel programma del prossimo Governo perché non è più accettabile questo gap maturato in nome di un assistenzialismo che è stato, per decenni, la risposta sbagliata a un giusto problema, quello della questione meridionale. Non possiamo quindi cedere alle tentazioni autonomiste delle Regioni del Nord.

Mi perdoni, ma questo come si concilia con l’idea di un centrodestra unito che comprende anche Salvini e la Lega?

Sarà necessario trovare una sintesi. Il federalismo ha senso in un impianto costituzionale che va riformato in ottica presidenzialista o semipresidenzialista. Alcuni in passato hanno sostenuto che il Settentrione è stato più bravo nella scelta delle classi dirigenti. Oggi vanno attuati interventi concreti di riequilibrio tra territori. Soltanto dopo aver portato tutti allo stesso punto di partenza, potremo ragionare di federalismo e autonomie, avendo come principio inamovibile l’unità d’Italia. Il centrodestra saprà essere in grado di riformare davvero il quadro istituzionale. Non come voleva fare Renzi, che è stato sonoramente bocciato al referendum del 4 dicembre e che, dopo aver fatto segnare proprio in Campania il peggiore risultato in termini assoluti, ha guarda caso ricreato il ministero per la Coesione sociale e il Mezzogiorno. Perché al Sud, dove non esistono gruppi di interesse quali i banchieri, non è riuscito a prenderci per i fondelli.

A proposito di scelta delle classi dirigenti. La nuova legge elettorale potrebbe premiare quei partiti che hanno candidati più radicati sul territorio e riconoscibili. Fratelli d’Italia teme potrebbe pagare l’assenza di nomi forti?

Intanto ancora non conosciamo i collegi perché la legge delega non è stata ad oggi approvata. Al Senato, dove servono 800mila abitanti, Avellino sarà con altri pezzi di Campania. Alla Camera dovrebbero esserci i vecchi collegi maggioritari del Mattarellum. In ogni caso noi proporremo dei buoni nomi, espressione del ricambio generazionale, persone che hanno una professione definita. Stiamo registrando attorno al nostro progetto l’interesse di diversi amministratori e sindaci. Ma questo non significa che siamo pronti a imbarcare di tutto o gente che si avvicina a noi per esigenze del momento. Siamo un partito di condivisione e regole. Sono fiducioso comunque che riusciremo a proporre buone candidature, fermo restando che a nostro avviso questa legge elettorale è una schifezza: la possibilità di scelta è regalata solo ai candidati dei collegi plurinominali del proporzionale. Io sono convinto che assisteremo quindi a un voto politico, basato sulle idee innanzitutto e poi anche sulle persone. Ma eviteremo di candidare i tristemente noti solo per avere qualche voto in più.

Il quadro sarà più chiaro dopo il congresso provinciale del prossimo 18 novembre?

Di sicuro parleremo anche di questo. Eleggeremo i nostri grandi elettori che saranno a Trieste per il Congresso nazionale. Quest’anno il tesseramento ha fatto registrare un incremento degli iscritti rispetto all’anno prima, ma alle votazioni del 18 potranno partecipare anche i non tesserati, purché siano nostri elettori e sottoscrivano una carta d’intenti. Abbiamo previsto un meccanismo di voto ponderato che premia la militanza, ma abbiamo voluto aprirci anche ai non iscritti perché per noi il partito non è un tesserificio che rilascia tessere solo in occasione dei congressi. A noi non servono figurine, ma persone con senso di appartenenza al progetto.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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