DiarioSponz, he’s lost control

Che cosa significa salvarsi dalla mansuetudine? Che significa la parola selvaggio in un festival di musica e cultura? Perdere il controllo e far finta di vivere come in un romanzo per qualche giorno? Rotolarsi nel fango o vagare alla scoperta di persone e amori? Oppure danzare fino a perdere i sensi? Vomitare per dimenticare l’oggi e il domani pensando solo a stare un po’ meglio per mettersi a letto? O semplicemente staccare il telefono e nuotare nell’aria umida di una selva? Oppure niente di tutto questo? Oppure altro che non mi viene in mente? E’ solo un trip. E’ solo un trip?

 

Io ho perso il contatto con la realtà per qualche secondo, in un concerto post-rock con le immagini di uomini orsi, nebbie e nevi, maschere e peli, donne-animali, uomini-bestia. L’ho perso chiudendo gli occhi perché Teho Teardo mi ha portato a chiudere gli occhi, con l’aumentare dell’intensità sulle sei corde e l’intrecciarsi di viole e violoncelli. Questo non fa di me un selvaggio, resto mansueto. Ma forse i tarantolati della prima hanno modi diversi di creare una frattura con una realtà. E anche se uno dei miei punti di salvataggio resta il tavolino del bar a Calitri, per giudicare quei passanti strani che rendono un po’ grottesco il tutto, è sacrosanto che ognuno abbia il punto di salvataggio selvaggio che gli pare. E grazie, si dirà. E chi sei tu per mettere in dubbio il fatto che ognuno è diverso e per fortuna è così? Meno di nessuno. Però questo Sponz, del resto come altre edizioni, ha tante dimensioni e forse troppe. Punto di forza indubbiamente. Ma è strano, strano assai.

 

Le dimensioni vanno dal Vallone Cupo di Gagliano – oddio quasi mi ci sono affezionato! – al corso dei passeggianti con passeggino che passeggiano insieme a chi torna dal fango. Il barrodromo dai cocktail piccanti, il ballodromo dove si balla, il palco di chi ti fa ballare. E ancora le aule studio, i vicoli e le grotte, il borgo o una stazione. Gli anfratti occupati da raffinate vinerie e la pizzeria che da anni salva la vita a tutto il mondo Sponz con la qualità a prezzi modici (applausi). I cuoppini di formaggio a un euro della nota caciocavalleria calitrana (applausi). Le bellissime grotte d’arte. Non ogni cosa è legata, non tutto è selvaggio, nemmeno tutto è mansueto. E’ un calderone di donne, uomini, aspirazioni e sensazioni. Di quelli che vengono per bere, per rimorchiare, per sentire i concerti, per fare i fighi alternativi, perché davvero credono nella dimensione e nelle potenzialità di questi paesi. Quelli che vengono a prescindere perché Calitri è Calitri, che vengono a prescindere perché c’è Vinicio Capossela, che vengono solo dopo aver letto il programma e che vengono perché altri genti vengono. Quelli come me, che vengono anche perché dopo un anno in cui la cosa più stimolante in Alta Irpinia è un’elezione politica hanno il bisogno di vedere altro e parlare d’altro.

 

Ci sono pure quelli che muoiono dalla voglia di ascoltare i professori all’Università per ripetenti. Arrivano con i sandali e con le maledette pagliette in testa, odiate da chi è con me nel terzo giorno. Il mondo Sponz non si può sintetizzare. E’ l’Irpinia con lo spettro dell’abbandono. E’ chi crede che lo Sponz ci salva, chi pensa che lo Sponz sia una bella manifestazione e basta. Chi crede un sacco di cazzate sul senso dell’Appennino. Chi perde il controllo ancora una volta. Chi prova a dare momenti irripetibili di arte in una provincia dalle mille e fantasiose sagre, che quasi quasi l’anno prossimo mi invento la sagra del Cupo Gagliano, un po’ pesce e un po’ cinghiale.

Giulio D'Andrea

Direttore responsabile di Irpiniapost, classe 1978, si laurea in Giurisprudenza a Perugia e si perfeziona in Psicologia forense a Genova. Mostra subito insofferenza per i tribunali e soprattutto per le cancellerie. Inizia il percorso giornalistico nel 2006, lavorando su carta stampata, internet e televisioni tra Campania e Lazio. Attualmente collabora con il quotidiano “Il Mattino”. Leggeva molto e suonava anche di più, poi la visione ossessiva delle serie Tv gli ha impedito di continuare.

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