Da quando l’Italia decreto dopo decreto è diventata una grande zona rosso-arancione, sono tante le famiglie irpine in apprensione per figli, mogli, mariti rimasti bloccati a distanza per il “semplice” bene della comunità. In qualche caso la stessa famiglia si ritrova scissa in più parti, con i genitori al Sud e i figli in città diverse del Nord. In questi giorni stiamo raccontando storie, che hanno punti in comune con tante altre e che aiutano a sentirsi meno soli. Francesco e Joana ne sono un esempio. Sono fratello e sorella: il primo vive nel bresciano, la seconda a Rimini. Su Facebook domenica scorsa, poco ore dopo l’inserimento della Lombardia nella zona off limits (successivamente estesa a tutto il Paese) Francesco vestiva i panni del sottotenente di complemento di fanteria 2º Reggimento – Brigata “Granatieri Lionesi”. E scriveva: “Qui dalla Lombardia nessun lionese si è mosso. Come tanti piccoli Teodoro Capocci sul Sabotino e sul Cesuna siamo fermi e immobili a fronteggiare l’invisibile nemico. Nessun lionese cederà e la patria natìa sarà salva. Per questo chiediamo a gran voce che i nostri nomi vengano aggiunti al monumento dell’emigrante. Scolpiti nella calcarea pietra dei nostri Appennini a imperitura memoria”. Un post ironico e però carico di amore per la sua terra. Un post per sdrammatizzare una situazione che purtroppo drammatica è. Joana sua sorella intanto è rimasta in Romagna.
“Ho terminato un lavoro a tempo determinato il 29 febbraio e marzo sarebbe dovuto essere un mese molto bello, nel quale sentirmi libera di scendere in Irpinia e stare con la mia famiglia, con mio nipote. Il Covid-19 ha bloccato i nostri cammini – racconta Joana -. Rimini si è spenta pian piano, anche perché il sindaco ha vietato persino le passeggiate al mare. Ma ogni restrizione è per il nostro bene, per la nostra salute. Perciò non capisco chi è scappato a casa, magari al Sud, per sentirsi protetto”.
Anche le sue coinquiline sono partite. “Meno male esiste la tecnologia che riduce la distanza. Ogni giorno che passa è più dura. Per strada c’è un silenzio angosciante e si sente ancor di più la solitudine – continua -. Ma io ho preferito rinunciare a qualcosa, a donare affetto ai miei cari, piuttosto che rischiare di portarmi il “nemico” a casa. Se ami qualcuno lo preservi. Mi mancano: un loro abbraccio o una loro parola placherebbero le mie paure. Li riabbraccerò presto: farò quei 600 km per guardare negli occhi il mio nipotino”.
Vive a Rimini anche Deborah. Anche lei lionese, giovanissima, studia infermieristica e quando è scoppiata l’emergenza in Emilia Romagna stava svolgendo il suo tirocinio nel reparto Malattie infettive dell’ospedale riminese. Pratica interrotta e studenti fermi, come in tutta Italia. Ma Deborah non è tornata giù, sebbene i suoi coinquilini lo abbiano fatto. Circa 400 ora i casi positivi in città e provincia. “Gli appelli della Protezione civile dagli altoparlanti creano ansia”, dice. Suo fratello Marco lavora nella bergamasca. Provincia con il maggior numero di contagi in Italia: numeri a 4 cifre e le ambulanze nel paese dove risiede passano ogni mezz’ora. Neppure lui è rientrato in Irpinia, nonostante la scuola sia chiusa da settimane. Anche in questo caso è rimasto solo: i coinquilini sono tornati in Sicilia e in Veneto. “Abbiamo inviato qualche giorno fa due pacchi da Lioni con beni di prima necessità ai nostri figli – racconta la madre che grazie alle videochiamate li assiste a distanza -. A Rimini è stato consegnato il giorno dopo. Il pacco per Marco è bloccato da tre giorni a Bologna: i corrieri non vogliono mettere piede nelle province di Bergamo e Brescia“.
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