La notizia dell’ok della Regione all’impianto di compostaggio di Conza è arrivata giovedì intorno alle 13. L’associazione e i cittadini che si oppongono ai rifiuti avevano lasciato il Comune da poco più di un’ora.
Il confronto con l’amministrazione comunale, mentre il sindaco si trovava a Napoli a discutere proprio di questo tema, era stato giudicato positivamente. “Se non altro è un confronto, sabato ne faremo un altro“, aveva detto Antonio, attivista di “Io voglio restare in Irpinia”. Poi la doccia fredda. Attesa, ma fredda. La battaglia era già partita da qualche giorno ma adesso, c’è da scommetterci, diventerà infuocata. Anche perché i ragazzi di Sant’Andrea di Conza, a due passi dal futuro impianto, sembrano un po’ soli nella vicenda. Mancavano le altre associazioni, anche se il sit-in era stato organizzato in poco tempo. Organizzato solo una volta saputo dell’accelerazione della Regione e della presenza del sindaco a Napoli. Soli per il momento ma non per questo meno incazzati. E inoltre hanno dalla loro un po’ di amministratori, primo tra tutti Pompeo D’Angola, il sindaco di Sant’Andrea.
Località Tortorino, lì dove dovrebbe nascere l’impianto, si trova infatti tra tre paesi. Conza, Sant’Andrea, Cairano. Da questa radura si vede proprio il paese dei coppoloni. Per arrivarci ci sono due strade. Una che parte dai centri abitati di Conza e Sant’Andrea, l’altra dall’Ofantina. Entrambe sono strette e dissestate, il che fa pensare che serviranno altri lavori per far transitare gli eventuali camion pieni di frazione umida da lavorare. Il fatto che debbano arrivare questi camion è uno dei motivi per cui l’impianto non viene ritenuto idoneo da molti. In sostanza, e questo lo ha ricordato anche Legambiente che in linea di massima si è mostrata favorevole al piano regionale, i rifiuti dovrebbero essere lavorati più più vicino possibile ai luoghi di produzione del rifiuto stesso. Ma visto che il triangolo dei tre paesi raggiunge sì e no 3000 abitanti, considerato che nei dintorni non ci sono neanche cittadine, è chiaro che i rifiuti giungeranno da mezza provincia e oltre. Una ragazza già segna l’astalto con la bomboletta in segno di protesta. “No al biodigestore“. Gli altri pensano alle strategie, delusi da chi come il sindaco di Calitri non si oppone a questo tipo di impianti. “Contro l’eolico ci siamo battuti anche noi, adesso sui rifiuti qualcuno si tira indietro“, aggiungono quelli dell’associazione.
La zona individuata non è molto abitata, diciamo la verità. C’è un signore che spiega: “Casa mia è a pochi metri“. Vero ma nessun impianto è a impatto zero e da qualche parte i rifiuti bisogna pur metterli. E’ un ragionamento.
Però l’altro ragionamento parte proprio da Conza. Conza ha la diga, il potabilizzatore (foto in alto a sinistra). L’area archeologica, l’area industriale (in alto a destra), l’area Pip, l’elettrodotto, la sottostazione di Castelnuovo a pochi passi. Le pale eoliche che incombono. Una ferrovia e una grossa stazione per adesso abbandonata (e speriamo che si faccia presto a riaprire ‘sta tratta per i turisti).
A causa della lunga ricostruzione il paese è diviso in ben tre nuclei, il che fece giustamente esclamare uno come Franco Arminio: “Conza una e trina”. Il nucleo antico, devastato e in fase di ricostruzione. Quello nuovo e i vecchi prefabbricati. Insomma, a Conza c’era proprio bisogno di un impianto per rifiuti in una delle poche zone libere? E’ una domanda legittima che facciamo anche noi. Però le cose sono sempre complesse. Potevano lavorare l’umido nell’area industriale o nell’area Pip? No, troppo vicina all’oasi wwf. Potevano lavorarlo a Cairano o Montella che pure avevano fatto la domanda in Regione? Sì, forse. Ma i tecnici della Regione hanno detto no e invece hanno scelto Conza insieme ad altri. E allora, mentre il clima lascia presagire nuove battaglie (tra sindaci, tra associazioni, tra paesi, tra partiti, all’interno dei partiti) ci viene pure in mente un’altra domanda. Visto che gli amministratori si vedono un giorno sì e l’altro pure – tra progetto pilota, consiglio provinciale, consorzio servizi sociali o comunità montane – perché non hanno trovato una soluzione unitaria e condivisa? Perché c’è stata anche la corsa al finanziamento regionale per il biodigestore? La risposta, ahinoi, non è una né trina. La risposta non esiste. Probabilmente i 25 paesi altirpini non hanno mai ragionato come comunità e continuano a non farlo. Con ostinazione.
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