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Narrazione senza filtri, la libertà di Franco Arminio

Avevo in mente di iniziare un pezzo a difesa di Franco Arminio con frasi ad effetto del tipo “il sonno della valorizzazione genera mostri“, perché le reazioni dopo il documentario Che ci faccio qui, andato in onda su Rai 3, stanno assumendo colori impensabili. Tuttavia nella lettera che il sindaco di Andretta ha appena mandato ai giornali della provincia c’è un passaggio che merita attenzione e approfondimento, senza frasi ad effetto e giochi di parole.

Premesso che la ratio di un documentario a sfondo paesaggistico è quella di far conoscere le bellezze e le peculiarità dei luoghi che si vanno a scoprire – scrive il primo cittadino Giuseppe Guglielmo – il poeta, nonostante abbia espresso contenuti degni di lode affinati da sentimenti oggettivi e profondi sullo scoramento dello spopolamento dei paesi fantasma che circondano l’Irpinia, ha però trasmesso un’immagine distorta del paese di Andretta, desolato, soffermandosi con la telecamere sui tanti portoni chiusi, visibili solo dai cartelli Vendesi, parlando dei morti invece che dei vivi rimasti, andando a toccare emozioni e sentimenti della popolazione residente“.

Senza giri di parole, e senza puntare il dito sulla fascia tricolore il cui pensiero è comune a tantissimi irpini, oggi è davvero il caso di dire #iostoconArminio. Un documentarista, un giornalista, uno scrittore, un poeta, un blogger, ha il sacrosanto diritto di leggere l’Irpinia e qualunque altro luogo dal suo punto di vista e con i propri mezzi umani, culturali o tecnologici; senza dover necessariamente passare per l’ufficio turistico, quando è presente, per la casa comunale o per la proloco. Se Arminio non può raccontare Andretta in Rai senza ricevere attacchi, se un Arminio deve ad ogni costo valorizzare e mostrare le bellezze, allora rischiamo un pericoloso precedente. Allora ognuno di noi sarà costretto a parlare di un paesello sempre e soltanto in termini positivi, pena il tiro al bersaglio online o l’intervento delle autorità.

Senza scendere in particolari e dettagli giurisprudenziali – ha infatti aggiunto il primo cittadino andrettese – nel rispetto del pensiero di ognuno, bastava che il paesologo, giunto ad Andretta con la troupe televisiva, si fermasse al Comune, ubicato al centro del paese in posizione dominante e riconoscibile da tutti coloro che arrivano da fuori, per chiedere, magari, una sorta di autorizzazione a filmare i vicoli storici del paese al fine di renderlo visibile al web con lo scopo di valorizzarne gli spazi, gli orizzonti, i silenzi e le connotazioni paesaggistiche e sociali“.

Ma un metodo comune non esiste, non tutti hanno la medesima visione delle cose da queste parti, non tutti hanno la stessa penna. Ci sono quelli innamorati di questa terra, a tal punto da non vederne i mali. Quelli affascinati dal nostro territorio, ammaliati dal bello e allo stesso tempo nauseati dall’orrore di una ricostruzione incompleta e da scempi ricorrenti. C’è chi questa Irpinia non la ama affatto, non può far a meno di notare solo il male. Chi vuol passare per il Municipio e chi preferisce bypassarlo e osservare senza filtri. Ma noi ci stiamo raccontando da troppi anni la favoletta degli splendidi borghi e dell’Irpinia terra meravigliosa, senza renderci conto che a furia di raccontarci frottole la favola stia diventando dark. Oscura come una fabbrica chiusa, nebbiosa come un’opportunità di sviluppo pensata da sindaci e dalla politica. E il problema sarebbe Arminio?

Qui nessuno vuole la morte dei paesi, solo che ci sono modi e modi di valorizzarli. Si può lavorare in tal senso difendendo l’ambiente, delle palazzine. Lavorando sul turismo, legittimo. Denunciando un ecomostro, facendo emergere incongruenze in un processo di rinascita. Arminio è un valorizzatore, esattamente come una proloco. Paradossalmente come gli amici di Irpinia Paranoica, ai quali lo scrittore non sta troppo simpatico. Arminio è un valorizzatore come le decine di pagine Facebook che invece mostrano i paesaggi incantati. Arminio, come tanti altri, lancia un grido d’aiuto per le aree interne. Come stanno facendo i Vescovi per esempio. O i sindacati.

Giulio D'Andrea

Direttore responsabile di Irpiniapost, classe 1978, si laurea in Giurisprudenza a Perugia e si perfeziona in Psicologia forense a Genova. Mostra subito insofferenza per i tribunali e soprattutto per le cancellerie. Inizia il percorso giornalistico nel 2006, lavorando su carta stampata, internet e televisioni tra Campania e Lazio. Attualmente collabora con il quotidiano “Il Mattino”. Leggeva molto e suonava anche di più, poi la visione ossessiva delle serie Tv gli ha impedito di continuare.

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