L’Irpinia delle stanze ammuffite, dove immaginazione significa menzogna

Da qualche settimana è online un blog su un’esperienza molto particolare. Di un ragazzo, che decide di lasciare il lavoro a Roma e di tornare a piedi, forse per sempre, nel suo paese d’origine. In Calabria. Nel suo ultimo pezzo parla dell’idea di Sud. “Il fatto che però ci sia poco (o niente), non è sempre negativo”. Però, e cita un suo amico, ci vuole “grande impegno, grande sacrificio, intraprendenza e buone idee”. E lui, l’autore del blog, aggiunge: “Ma anche contatto con la realtà, strettissimo contatto con la realtà”. E’ un pezzo interessante da cui prendiamo spunto, così come per il titolo rubiamo e parafrasiamo un celebre frammento di Pennac.

Quella del poco o del nulla non sempre fattore negativo è una visione che abbiamo ascoltato più volte; magari in termini più poetici da un Vinicio Capossela che piaccia o non piaccia è diventato riferimento anche per ministri e funzionari quando si affronta del tema del (possibile) rilancio culturale dell’Irpinia.

Ed è una visione, il nulla in grado di generare opportunità, sulla quale chi scrive concorda appieno ma non esattamente se pensa al suo territorio: l’Irpinia. Territori fondamentalmente “vergini” possono aprirsi molte strade sul piano economico, culturale e in generale sociale. E’ un po’ il discorso dei Paesi dell’Est Europa che inevitabilmente crescono, un po’ per il costo del lavoro più basso e un po’ perché dopo guerre e rivoluzioni si parte quasi da zero e si decide di puntare su determinate infrastrutture (vedi banda ultra larga). Però chi scrive si trova in Irpinia e non può fare a meno di riflettere su un paio di questioni.

La prima. L’Irpinia non è una terra vergine. Ci sono moltissime strutture costruite dall’uomo, solo che alcune di queste sono negative o vengono considerate tali, impattanti o ingombranti: insediamenti industriali, energetici, strade (sì ci sono, anche troppe, solo che spesso fanno pena). E anche se i numeri non sono quelli del centro Italia, il livello associativo è presente. Quindi non siamo il nulla e nel nulla, purtroppo e per fortuna.

 

La seconda riflessione. In mancanza di innovazione, impegno, sacrificio e buone idee si apre il campo a ciò che innovativo non è. Nel senso che si fa di tutto per recuperare terreno perso (in termini di competitività e attrazione), ragazzi persi (quelli che sono andati via e andranno via), strutture perse (ospedali, tribunali, autobus), lavoro perso. La sensazione è che in questa fase gli attori del Progetto Pilota non abbiano tanta voglia o capacità di sperimentare. Piuttosto si avverte l’esigenza di recuperare, il che non è necessariamente negativo e sarebbe anche coerente con una parte del ragionamento all’origine del progetto stesso. Se si lavora soltanto per recuperare allora ben venga tutto. Qualunque cosa, qualunque risorsa economica. Anche una mezza azienda aperta di questi tempi è oro. Anche una bozza di reparto ospedaliero in più sarebbe una santa cosa. Pure una via di collegamento tra due paesi è una benedizione. Detta così è brutta, ma anche la situazione attuale lo è.

Una riflessione da poveri di spirito, non il massimo della vita. Ma se non si capisce cosa si intenda per innovazione non si diventa certo più ricchi. Si tratta di mettersi al passo con i tempi e con le esperienze migliori delle altre parti d’Italia o del mondo? Bene, benissimo. Questo riferimento, ma è solo un esempio, è stato fatto a proposito del centro per l’autismo su cui è aperto un dibattito. Che secondo una Rosanna Repole, sindaco di Sant’Angelo, non può essere fatto in ospedale come vuole l’Asl ma piuttosto nei centri di orto-terapia e basket-terapia. Una via percorribile e sensata, quella di studiare le cosiddette buone pratiche, sulla quale si può e si dovrebbe discutere. Arriva De Luca e ci porta i soldi, ok. Speriamo solo di conoscere presto le destinazioni ma nel frattempo si cerchino strumenti e approcci moderni alle cose, altrimenti assisteremo a nuove opportunità per i primari e non per i pazienti.

Oppure si tratta di immaginare un’innovazione con riferimento a modelli completamente nuovi di aggregazione e proposta? Ci viene in mente quello che un Luigi D’Angelis, sindaco di Cairano, vorrebbe fare nel minuscolo borgo con il contributo di un Franco Dragone rendendo il borgo un paese-teatro, laboratorio di idee.

Esistono altri esempi di felici intuizioni o sperimentazioni già avviate. Come lo Sponz Fest, che se solo riuscisse a uscire dalla dimensione di evento estivo per diventare struttura permanente sarebbe una vetrina formidabile, in grado di creare indotti di ogni tipo. Ma in generale chi propone? Chi mette in pratica? I sindaci appaiono in perenne affanno: devono risolvere micro e macro problemi dei cittadini nei loro paesi, confrontarsi su rifiuti o sanità in contesti sovra-comunali, duellare e barcamenarsi tra dinamiche politiche. Molte associazioni, a causa delle continue minacce all’ambiente, sono invece portate più a difendere che ad attaccare per costruire modelli.

Capita pure che le idee buone passino per strumenti vecchi e ammuffiti: convegni, rapporti con istituzioni in crisi, stanze comunali semi-deserte e sedie polverose. Chi non passa da qui non viene ritenuto soggetto proponente dalla politica stanca e senza verve. Ma chi passa da quelle parti avrà automaticamente tagliato fuori se stesso dall’idea di innovazione. Inoltre, qui torniamo un attimo ai punti dolenti del Progetto Pilota, idee innovative non si sono viste nelle schede e nel percorso iniziale. Lo abbiamo detto più e più volte.

Ma non le vediamo neanche per il famoso Bicentenario di Francesco De Sanctis. Quest’ultimo, nelle intenzioni, dovrebbe rendere l’Irpinia una specie di laboratorio culturale e politico (in senso lato). Invece il Bicentenario non è ancora iniziato e già ci si divide tra comitati e fazioni. E, ci perdonino i desanctisiani, ci importa poco che arrivi il ministro Dario Franceschini. Si parte con un convegno, capite? Non con uno spettacolo itinerante di ragazzi, un viaggio in treno, un grande museo che apre con un bel piano di gestione. Si inaugura con un convegno: quanto di meno innovativo si possa immaginare. Ci vuole anche contatto con la realtà, strettissimo contatto con la realtà, si diceva all’inizio. Bene: qui la realtà è fatta di volti che vogliono essere coinvolti, orecchie stanche di ascoltare la menzogna del potere, strade di cemento che possono essere battute, ruderi che devono essere riempiti di contenuti. Fuori dalle stanze di Nusco, Morra De Sanctis e dei paesi del viaggio elettorale.

Giulio D'Andrea

Direttore responsabile di Irpiniapost, classe 1978, si laurea in Giurisprudenza a Perugia e si perfeziona in Psicologia forense a Genova. Mostra subito insofferenza per i tribunali e soprattutto per le cancellerie. Inizia il percorso giornalistico nel 2006, lavorando su carta stampata, internet e televisioni tra Campania e Lazio. Attualmente collabora con il quotidiano “Il Mattino”. Leggeva molto e suonava anche di più, poi la visione ossessiva delle serie Tv gli ha impedito di continuare.

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