Dopo 8 anni vissuti sul ballatoio più da spettatore e da vacanziero saltuario, adesso ho deciso: “me ne torno giù”. Michele Laino (in foto) è un giovanissimo fisioterapista di 26 anni, gli ultimi otto dei quali vissuti a Roma. Nato nell’Alto Ionio Cosentino, ad Albidona, uno dei quei paesi che somigliano tanto alla nostra provincia. Desertificazione economica e demografica, tempi lenti, la fascinazione della modernità che impari a conoscere attraverso i media e che a un certo punto ti ammalia come una sirena e ti porta a trasferirti a chilometri di distanza per studiare, formarti, fare esperienze, incontri. Molti decidono di non rientrare, in qualche caso per un malcelato rifiuto delle origini: che sono belle foto da scattare nei giorni delle feste per mostrare la ruralità e la cultura del Sud agli amici cittadini, ma che diventano ceppi ai piedi se hai voglia di emergere, di crescere professionalmente e realizzarti.
Altri però, come Michele, decidono di tornare perché in fondo non riescono a fare a meno della “loro” terra. Un legame ancestrale e inspiegabile, quello che a un altirpino ad esempio fa illuminare lo sguardo e sentirsi a casa alla sola vista del profilo dei Monti Picentini, che sia il Calvello, il Vulture o il montagnone di Nusco. Ma non è solo romanticismo. “Giù non puoi tornarci se non con un progetto, cioè con le idee chiare – spiega Michele – Non tanto su quello che farai in futuro, quanto sull’ambiente che vai a riabbracciare, e su come approcciarti al contesto socio-economico. Se non hai le idee chiare su quello che queste cose rappresentano, giù non puoi sopravvivere. Perché tornare significa reimmergersi nello stesso mondo da cui sei scappato, perché in 8 anni le cose non cambiano nel nostro Sud statico, semmai peggiorano. E allora tornare significa cambiare il tuo punto di vista, vedere il buono lì dove non lo vedevi, vedere possibilità nello stesso luogo che hai lasciato proprio perché di possibilità non ce n’erano”.
Un’esperienza che diversi tra noi, studenti o lavoratori fuori sede, abbiamo provato negli anni. Ma il viaggio di Michele dalla caput mundi Roma alla Magna Grecia è un ritorno lento, a basso impatto, che tocca anche l’Irpinia. Nel mese di marzo il giovane calabrese partirà da Piazza San Pietro e percorrendo prima la via Appia e poi la SS92 edificata presumibilmente sulle tracce dell’antica via Micaelica meridionale, tornerà a casa. Camminando a piedi, farà soste in diverse città e piccoli paesi per arricchirsi della loro storia, delle storie di chi al Sud è tornato o da sempre vive. Storie di resilienza che spesso non fanno notizia e che vengono soffocate dal racconto un po’ fatalista secondo il quale nulla può cambiare. 636 km tra Lazio, Campania, Basilicata e Calabria. Una “calata”, nome scelto per il progetto, che è una discesa lenta, quasi cullata, verso casa. “Alla fine della quale io mi pianterò ad Albidona da buon calabrese come un filetto di melanzana si adagia sul fondo del suo mare d’olio, arricchito da tutte le esperienze fatte in questo lungo, lento viaggio”, aggiunge. In Irpinia farà tappa a Roccabascerana, Avellino, Castefranci, Lioni e Calitri.