Terre dell’osso, la strategia nazionale non basta

Ancora neve e ancora terremoto sull’Appennino. Da mesi la dorsale montuosa e collinare che percorre da nord a sud la penisola fa parlare di sé. Si è conquistata con la rabbia sprigionata dalle viscere della terra e il pungolo del gelo le cronache. Ricordandoci che esiste, che l’Italia non è solo metropoli e città con i loro mega progetti e i loro mega fallimenti, che il nostro sistema Paese non mostra la sua fragilità soltanto nelle periferie urbane, quelle dell’edilizia agevolata e disumanizzante, dei casermoni allineati come se fossero slot di memoria di un pc, dei parchi vandalizzati e dei servizi realizzati solo nei rendering degli studi di architettura. Ma pure nella vasta periferia ultra urbana fatta di molte terre e poche persone.

Ci chiamano aree interne o terre dell’osso, per citare Rossi Doria. Colonna vertebrale di un corpo malaticcio, spina dorsale che scricchiola a ogni passo. Si allunga l’elenco degli eventi sismici che negli ultimi due decenni ha interessato l’Appennino, senza voler tornare indietro fino al 1980. Il cuore dell’Italia fa a botte con il resto del Paese, scalcia, si allunga e ritira, spinge e strattona. Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio. Ma anche il Molise, la Campania interna. L’Irpinia. Che in questo inizio di gennaio di nevicate scopre come quasi ogni anno le sue fragilità fatte di un sistema di prevenzione non efficiente, di un assetto viario non adeguato, di servizi sanitari carenti, di ambulanze che rischiano di fermarsi per la neve o il vento, di accessi agli ospedali non puliti per bisticci sulle competenze, di superfici per l’elisoccorso utilizzabili solo nella mente dei progettisti, di Comuni a corto di personale, di forze dell’ordine ridotte su un territorio sconfinato. L’Appennino che si spopola e si sfilaccia sotto il profilo sociale ed economico. Sempre più solo.

Ancora più solo in quelle sotto aree geografiche che pagano anche il prezzo di essere distanti dai capoluoghi, di sentirsi definire “ghetti” da quelle stesse città ugualmente interne che vorrebbero usarle come discarica o deposito. Come purtroppo è accaduto e continua ad accadere anche in questi giorni all’Alta Irpinia. Pensiamo all’assurda vicenda del Centro per l’Autismo in fase di costruzione nel quartiere Valle di Avellino e che l’Asl vuole portare anche in alcuni spazi (ormai vuoti) dell’ospedale di Sant’Angelo dei Lombardi. Con i sostenitori del centro cittadino preoccupati per il possibile scippo al punto da impugnare penna e calamaio e scrivere una lettera manifesto per dire che il luogo scelto è un “ghetto” e “così si mandano gli autistici a quel paese, in ogni senso”. Verrebbe da chiedersi perché per i genitori di un ragazzo autistico dell’hinterland avellinese finire in Alta Irpinia dovrebbe significare essere mandato a quel paese, mentre per un cittadino altirpino orfano del tribunale doversi recare, ad esempio per un certificato dei carichi pendenti o per lavoro, nel capoluogo non lo sia… altra faccia del processo di impoverimento dell’osso.

Un osso che ha bisogno di un’attenzione che va ben oltre ambiziosi (e lunghi e complessi e forse anche utopici) progetti di rilancio come la Strategia Nazionale Aree interne (leggi qui, e qui, e qui) Che necessita di servizi, di un’inversione di tendenza rispetto a quella spending review che negli anni ha portato a tagli e chiusure tagliando e chiudendo anche le prospettive. Dal centro alle periferie, da Roma o Napoli ai territori. La dinamica necessaria da parte di chi tiene le retini del futuro se davvero si vuole salvare l’Appennino, recuperare le sue risorse e il suo patrimonio, restituirgli una centralità che non entra in conflitto con le aree urbane, ma fornisce loro ossigeno. Aggrappandosi a esso, come la polpa si aggrappa all’osso.

Paola Liloia

Classe 1985, laureata alla Sapienza in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha collezionato stage in uffici stampa romani (Confapi, ministero per la Pubblica Amministrazione, Senato) e collaborato con agenzie di comunicazione, quotidiani online locali e con il settimanale "Il Denaro". Ama la punteggiatura. Odia parlare al telefono e i tacchi. Ama l’Inter e le giornate di sole.

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