Prestiti, sì agevolati, ma che non faranno altro che accumularsi ai debiti già presenti; in più, lo spettro di nuove norme per garantire il distanziamento sociale che sicuramente non aiuteranno la ripresa delle attività. I Piccoli Imprenditori hanno lanciato il loro manifesto e sono pronti a farsi sentire, preoccupati di aver chiuso i loro battenti per un periodo ben più lungo di quello della Fase 1. “Abbandonati dallo Stato, noi non ce la faremo!”, grida il loro slogan, mentre il programma invoca un vero e proprio Piano Marshall per sopperire alla violenta crisi che si prospetta. La cittadina di Atripalda, forte della sua antica vocazione commerciale, ha dato il via, ma una risposta proveniente da tutti i comuni d’Irpinia e anche oltre confine non si è fatta attendere, perché il problema non è affatto circoscritto e, quando l’emergenza covid19 non sarà altro che un brutto ricordo, le ripercussioni – purtroppo – potrebbero costringere molti esercenti alla chiusura definitiva.
“Il gruppo iniziale era composto soprattutto da ristoratori – ci racconta la portavoce, Chiara Di Maio, proprietaria del bar-pasticceria Dulcis in furno e dottoressa in Giurisprudenza – Già qualche giorno prima del decreto che ha sancito l’inizio della zona rossa in tutta Italia ci siamo riuniti per iniziare a capire un po’ le nostre sorti, e da allora siamo rimasti in costante contatto, finché abbiamo deciso di organizzarci e di fare un po’ di rumore”.
Gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande sono, insieme a quelli turistici e dedicati all’intrattenimento, i più colpiti: costretti a chiudere prima di tutti gli altri, con molte spese di mantenimento che restano inalterate anche in caso di inattività, saranno sicuramente tra gli ultimi – per la loro intrinseca natura di aggregatori sociali – a riaprire e con nuove regole che, se confermate, sarebbero soltanto un deterrente. Impossibile supportare le spese di gestione, pagare i fornitori, stipendiare il personale, con introiti ridotti all’osso sia per la legittima paura delle persone a riprendere le uscite come abitudini, che per l’introduzione di norme che, oltre a smorzare l’entusiasmo di coloro che trovassero il coraggio, rendono economicamente insostenibile la continuazione delle attività: la riduzione di posti a sedere, gli ingressi scaglionati e registrati, l’installazione di pannelli divisori in plexiglass e l’uso obbligatorio di mascherine e guanti per tutti, anche i clienti.
“Meglio dichiarare fallimento e riaprire, nel caso, direttamente nel 2021, oppure smettere e basta, dicono già alcuni tra noi ed è difficile dar loro torto. Quanto dovremmo far pagare un semplice caffè se possiamo accogliere meno della metà dei nostri clienti quotidiani per poter comunque far fronte a tutte le spese?”, dice. Ma le richieste dei ristoratori sono simili a quelle di molti altri esercenti: “Si sono uniti a noi estetisti, negozianti del settore abbigliamento, parrucchieri, e tantissimi altri. Ci siamo prima fusi con il gruppo Partite Iva Irpinia & Sannio guidato dal commercialista Antonio Marrone e, grazie al passaparola, siamo diventati in poche ore più di mille attività, unite e pronte a farci sentire”. Il dottor Marrone e Yuri Di Rito, gestore dello storico pub Ottavonano, hanno strutturato il manifesto del neonato movimento e, a partire alle 19.00 del 14 aprile, aderenti e sostenitori stanno riempiendo le loro bacheche social a supporto di questa battaglia. “Vogliamo provare a smuovere le cose per far arrivare le nostre richieste a chi possa, concretamente, fare qualcosa, ma partendo dal basso”. Perché, allora, questi esercenti non si sono rivolti alle associazioni di categoria già strutturate?
“Senza voler fare polemiche o critiche, perché sicuramente il momento non è facile per nessuno, per un motivo tanto banale quanto semplice: perché nessuno si è fatto sentire. Ci aspettavamo di essere contattati, coinvolti, in fondo è già passato più di un mese dall’inizio dell’emergenza, e invece non si è mosso nulla, quindi abbiamo sentito la necessità di organizzarci autonomamente, ma ogni contributo sarà ben accetto”. Dai proclami del Governo sembra che gli aiuti non mancheranno, “Ma per il momento non c’è nessuna concretezza e, in ogni caso, le misure paventate non sembrano sufficienti per garantire un’efficace prosecuzione delle attività. Ci sentiamo completamente abbandonati. Ci siamo attenuti alle restrizioni con grande senso di responsabilità per il bene del paese e non solo per imposizione ma, allo stato attuale, quello che doveva essere un fermo totale momentaneo per l’emergenza sta diventando a tempo indeterminato, senza che misure di altro tipo – nemmeno sanitario – stiano concretamente contribuendo a migliorare la situazione”.
Cosa chiedono i piccoli imprenditori, concretamente? Un risarcimento in misura percentuale direttamente ai proprietari dei locali commerciali, anziché il credito d’imposta per gli esercenti; il blocco delle utenze non domestiche fino a fine emergenza; il blocco delle procedure di iscrizione CRIF e CAI; un contributo mensile nella misura del 30% del fatturato annuo da rapportare in dodicesimi o un contributo rapportato alle condizioni economiche del nucleo familiare e i carichi di famiglia secondo i parametri del reddito di cittadinanza; il congelamento delle pretese tributarie anche iscritte a ruolo fino all’entrata a pieno regime della vita quotidiana; il congelamento con prolungamento di ogni forma di finanziamento in corso; la concessione di utilizzo di scoperto bancario per il pagamento di assegni che dimostrino pagamenti di fatture per forniture antecedenti l’inizio dell’emergenza. Secondo Di Maio, quando la pandemia sarà superata, “la gente avrà voglia di ricominciare, di fare un aperitivo con gli amici al bar o di cenare al ristorante, ma se le condizioni restano queste sarà complicato. Se non potremo garantire il fatturato allora le chiusure, con le conseguenti perdite di posti di lavoro, saranno inevitabili. Siccome la nostra iniziativa non è isolata, ma sta partendo insieme ad altre in tutta Italia, speriamo di poter smuovere qualcosa a livello nazionale”.