Basta trivelle in Irpinia? Attenzione: è stata vinta una battaglia, non la guerra. E per “sfinimento”, non per scelta. Dopo 8 anni di proteste, incontri e dibattiti, con un decreto del 26 marzo 2021, il Ministero dell’Ambiente ha disposto la cessazione del permesso di ricerca “Nusco” e di quello di esplorazione “Gesualdo 1”, per il fallimento della società incaricata (Compagnia Generale Idrocarburi spa) e la conseguente rinuncia della co-titolare del progetto (Italmin Exploration srl).
Non è stata quindi, nel modo più assoluto, una vittoria della politica. Si sono succeduti 7 governi e diversi parlamentari e consiglieri regionali nostrani, ma lo stop effettivo non è arrivato per una decisione da parte di chi ha il potere e il dovere di immaginare e indirizzare il futuro di un territorio, e del paese.
È stata, dunque, una vittoria delle forze che si sono unite sotto la bandiera del nostrano comitato NoTriv? “Nel merito del metodo”, assolutamente sì. Per aver avuto la capacità di aver riunito la comunità irpina come non accadeva da tempo, per un medesimo scopo. E poi per aver contribuito a sedimentare un sapere, a rendere più consapevole e informata la collettività. Oggi, in questa terra, c’è molta più attenzione e cultura in materia di ambiente e politiche energetiche, e lo si deve in gran parte al lavoro che tutte le anime del comitato hanno condotto nei propri comuni e ambiti.
«C’è stato un attacco al territorio recepito da tutti. I movimenti sono stati bravi nel fare davvero rete e a lavorare instancabilmente, ognuno a modo proprio. C’era chi parlava con le istituzioni, e chi portava in piazza il settore produttivo. Sono state messe in campo centinaia di iniziative molto trasversali», commenta Roberto De Filippis, tra gli animatori principali dei NoTriv irpini. «Si è cominciato a parlare di un modello di sviluppo altro che, prima della pandemia, si stava intravedendo. E questa terra aveva capito che perseguire un piano che permettesse le estrazioni petrolifere ci avrebbe portato ad essere come la Basilicata: è uno dei distretti estrattivi in terraferma più importanti d’Italia, eppure resta una delle regioni più povere e spopolate. I principali fondi, così come le royalties, sono sempre stati nelle mani delle major, e non dei cittadini».
Il modello energetico nazionale è ancora basato sugli idrocarburi. Nonostante questo preciso progetto sia cessato, altri sono stati avviati. Inoltre, a causa delle riforme concepite dallo SbloccaItalia, se una compagnia volesse ritentare la strada delle trivelle in Irpinia sarebbe molto più facile portare a termine l’iter burocratico: «Il permesso Nusco si è stoppato perché non c’è stato il reale interessamento di una major. Funziona così: piccole compagnie prestanome manifestano interesse per queste concessioni, in attesa che qualche “big” della petrolizzazione le acquisti. Perché qui non è avvenuto? Secondo noi dei comitati, in base agli studi che abbiamo recepito e divulgato, perché il petrolio delle aree interne è “sporco”. Una volta estratto e raffinato, il margine di profitto si attestava troppo basso per essere realmente appetibile. Da un lato, diciamo per fortuna, dall’altro bisogna restare vigili». Soprattutto perché gli interessi delle compagnie petrolifere si stanno spostando altrove ma «se in Germania, Olanda, Francia, si sta lavorando per porre fine ad un modello tutto basato sulla black economy; se le grandi aziende automobilistiche ormai puntano alle macchine ibride o totalmente elettriche, facciamoci due domande. Ma teniamo alta la soglia di attenzione affinché la svolta “green” non sia solo, per i soliti noti, un’occasione per trarre profitto in modo indiscriminato sfruttando un rinnovato, finto, spirito ambientalista».
Come avviene, ad esempio, quando parliamo di eolico selvaggio: «In Irpinia il problema è serio, c’è una speculazione privata che non ha nessuna ricaduta benefica sul suolo che, di fatto, viene eroso. Oggi si dovrebbe fare una grande riflessione sul modello energetico del paese, e coinvolgere tutti i movimenti d’Italia. In agenda non vedo la costituzione di un ente nazionale, un’agenzia pubblica, che intervenga in modo chiaro sul diritto all’approvvigionamento e contemporaneamente tuteli tutte le parti in causa».
Motivo per cui al comitato NoTriv in Irpinia non mancherà lavoro da fare: «Una singola vertenza si è stoppata, ma questa è ancora una provincia che è terra di conquista per un’economia predatoria. L’importante è non ragionare a compartimenti stagni e il nostro operato ha radicato la convinzione che il ragionamento vada fatto a 360°. Nel tempo ci siamo interfacciati con chi portava avanti altre battaglie come, appunto, contro l’eolico selvaggio, o per la salvaguardia dell’acqua pubblica».
Fondamentale, quando la pandemia sarà terminata, non replicare le dinamiche note, limitandosi a sommare ai “convegni sulla valorizzazione” il recente storytelling da cartolina dei borghi dove si può svolgere lo smartworking in luoghi “a misura d’uomo”. Ci chiediamo come, dato che le infrastrutture per una digitalizzazione adeguata sono ancora assenti. Ma De Filippis replica anche a chi ha commentato la notizia della cessione con “dire di no a tutto è facile, si presenti un’alternativa”: «Ci stavamo già provando, ma da privati. Il comitato NoTriv è nato innanzitutto dalla spinta di persone che non avevano velleità da classe dirigente. Accoglienza, ristorazione, agricoltura e viticoltura di qualità possono fornire una risposta concreta, perché già esistenti e protagoniste del lavoro da anni. Ma tocca a chi governa, a chi siede nelle istituzioni, rispondere con un piano di sviluppo».
Infine, per avere un’alternativa reale, questa provincia deve ricostruire il suo senso, la sua identità, «e accadrà solo se si ferma lo spopolamento, mettendo al centro beni e servizi uguali per tutti. Se funzionano e si riaprono gli ospedali, se il piano trasporti consente di non essere lontani dai punti nevralgici della regione, se non si accorpano e chiudono le scuole pubbliche. È tutto collegato, e tutto da costruire. Se non c’è un pubblico a difendere, si sarà sempre alla mercé del privato che vuole solo fare profitto senza pensare alle conseguenze».