E se un ritrovato impegno per i collegamenti in Irpinia fosse solo un modo per non affrontare altri problemi? La domanda sorge, spontanea, alla luce dei vari dibattiti in provincia di Avellino sulle maxi-opere in costruzione col cemento o soltanto nei cervelli. Non c’è soltanto il traforo del Partenio ad animare amministratori, politici, attivisti o semplici commentatori. Dall’altro versante della provincia si discute molto di una linea ferroviaria possibile, la Calitri-Eboli. Casi molto diversi, nel primo sarebbe in gioco anche l’assetto ambientale della zona. Ma qualche dato in comune tra le istanze esiste. E le parole magiche son sempre le stesse: sviluppo, lotta all’isolamento, lotta allo spopolamento.
Si parte dall’assunto che ogni opera sia in grado di generare economia (e in buona sostanza è vero), ma soprattutto dalla convinzione che collegare, in sé, possa essere l’antidoto alle grandi piaghe dei nostri tempi: lo spopolamento e la mancanza di lavoro e opportunità. Il problema, il rischio, è che questo antidoto possa risultare alla lunga un semplice tentativo. Oneroso peraltro, in termini economici ma anche di energie. Spesso non si capisce in base a quali criteri, e quali certezze, un’infrastruttura venga associata sempre alla parola sviluppo.
Esempi? Prendiamo l’Alta Capacità-Alta Velocità in Valle Ufita. Anni addietro si era immaginato un polo del freddo, da collegare al collegamento ferroviario (e scusate il gioco di parole). E tutto sommato si era pure detto che un impulso per la morente ex Irisbus potesse anche arrivare dalla linea di ferro ad alta velocità. Sapete invece cos’è accaduto? Non c’è traccia del polo del freddo, i lavori per la stazione Hirpinia e annessi dovrebbero cominciare a breve. Ma prima dell’inizio dei lavori la ex Irisbus, ora Industria Italiana Autobus, ha ricominciato ad assumere e a produrre, complice pure l’accordo sull’asse Flumeri-Avellino con Virginia Raggi. L’impegno, e va riconosciuto quello dei pentastellati, ha portato a un risultato in termini di sviluppo. La futura infrastruttura ferroviaria? C’entra meno di zero.
E prendiamo pure la Avellino-Rocchetta, linea turistica ben finanziata. Più volte noi, come tanti, avevamo detto che l’opera sarebbe stata utile solo con un coinvolgimento massiccio dei Comuni. Che la linea fosse solo un mezzo, in un contenitore da riempire con eventi, attrazioni, professionalità, alti livelli di accoglienza. Il treno del paesaggio fa comunque registrare buoni numeri rispetto ad altri treni turistici italiani. Ma nulla di paragonabile alla Transiberiana d’Italia. Era ed è un mezzo, la Avellino-Rocchetta. Non ha contribuito alla creazione di posti di lavoro, non ha contributo alla nascita di punti di accoglienza a ridosso delle stazioni (peraltro sempre piccole caserme di cemento, in attesa del sospirato bando). Da sola non poteva e non può farlo, del resto.
Usciamo dalle rotaie e andiamo su strada. Non vi è ancora traccia di percorsi ciclabili, specie in Alta Irpinia. Solo il tempo dirà se e quando potremo vedere i ciclisti pedalare da Caposele fino a Santa Maria di Leuca (di questo passo mai). Solo il tempo ci dirà se gli irpini sapranno o vorranno cogliere l’occasione aprendo tutti quei servizi (officine, bed and breakfast attrezzati, negozi per il cicloturista) che le più importanti ciclovie europee hanno sui vari tragitti. A meno che non si voglia ricorrere sempre e comunque a forme di finanziamento pubblico…
Ma tornando alle due opere immaginate in questi mesi, mentre il traforo del Partenio ottiene comunque il via libera da autoctoni e non, oggi dall’immancabile Confindustria, la ferrovia Calitri-Eboli, basata su una linea di fine 800, resta oggetto di un dibattito che rischia di distogliere l’attenzione su altri problemi e possibili prospettive. Come se adesso il guaio fosse questo collegamento mancante e non le aree industriali altirpine, da potenziare con servizi e infrastrutture tecnologiche e ambientali. E intanto è scomparso pure quel briciolo di incazzatura registratosi dopo i preoccupanti livelli di mercurio dell’Ofanto in estate. Come se poi non fosse chiara a tutti la lentezza dei collegamenti degli autobus per le scuole, che di sicuro non si risolve col treno. O la carenza di iscritti negli istituti dovuta non certo alle politiche sulle scuola ma a un dato oggettivo: ci sono meno persone. Come se ci si dimenticasse del fatto che esista un distretto turistico che non esiste. O di quanto tempo occorra per realizzare la parte mancante della Lioni-Grottaminarda.
Si badi bene, non è l’esaltazione del “sì però“, l’apologia del benaltrismo. E’ che proprio non riusciamo a sostenere l’equazione collegamenti=sviluppo, la consequenzialità dei fattori. Non sempre almeno. Non a prescindere. Non qui, non in queste condizioni. Non coi tempi biblici delle maxi-opere in Italia che mal si sposano coi picchi verso il basso delle statistiche. Probabilmente è più facile mettersi a sognare. E di contro appare ben più complicato andare a chiedere conto ai sindaci, ma anche ai livelli regionali e nazionali, cosa abbiano prodotto nell’ambito della strategia nazionale aree interne; se questo sia ancora migliorabile sulle parole sviluppo e lotta allo spopolamento.