Di Mario Pagliaro, dal blog Vertenze Ambientali
La Valle del Sabato inizia molto prima di Serino e finisce molto dopo Ceppaloni. Tra Atripalda e Prata, da valle diventa pianura. In principio c’era campagna e una ferrovia, sempre più superflua. Col tempo, è stata perfetta per allocarvi un casello autostradale che collegasse la Valle con il mondo, un’arteria a scorrimento veloce che collegasse il casello con la Valle. E tutti plaudivano alle nuove rendite di posizione fondiaria. Essendo pianura ed avendo strade, vi allocarono anche le industrie e tutti plaudivano alle nuove opportunità lavorative. Amministratori eletti e sindacati, anche alla possibilità di manovrare quei processi. Essendo pianura, avendo strade e fabbriche, troppi intravidero anche un sicuro sviluppo demografico, così, tanti Comuni pensarono bene di rendere edificatori grossa parte dei suoli e tanti plaudirono alla possibilità di poter trarre reddito da campagne che pochi volevano continuare a lavorare “professionalmente”.
Oggi, quella valle-pianura, ospita una fabbrica fumante in cui, in caso d’incendio, gli stessi operai (molti di loro residenti in loco) bloccano l’ingresso anche ai vigili del fuoco, un mastodontico reperto dell’assistenzialismo di Stato, dal potere contrattuale ancora troppo forte (anche questo occupato da molti residenti in loco), un ex contenitore di amianto allo stato puro, una decina di imprese più o meno traballanti e una concentrazione di PM10 che, come nel centro di Avellino, sfora ampiamente ogni limite o tolleranza di legge.
Ovviamente, c’è anche il “fiume non fiume”, il Sabato, in cui confluiscono reflui urbani, spesso “tal quale” e, ancora più invasivi, i residui di quell’agricoltura “chimica” fondamentale per chi vuole trarre reddito da campagne che il “posto fisso” ha reso non più fonte di sostentamento, ma solo di “arrotondamento”.
Anche quest’area industriale, nonostante fosse la più vicina al capoluogo e la meglio collegata con il mondo, non è riuscita a creare da sola quella predisposizione alla sana impresa, da sempre latente nel meridione.
Al pari delle altre, da “infrastruttura produttiva” è divenuta “spazio da mettere a frutto” e, nonostante le numerose lottizzazioni ai margini, poco interesse ha prodotto il residuo di abitanti ancora vivi in quella valle/pianura. Anche a chi ci abitava.
In questo panorama, all’epoca di una delle tante emergenze rifiuti campane, l’Area per lo Sviluppo Industriale nella valle/pianura è stata utile per allocarvi anche un impianto per il trattamento dei rifiuti solidi. Puzzolente, indigesto, dalla enorme invasività percepita. Finalmente, un elemento di rottura con l’abbondanza d’inquinamento invisibile fino allora prodotto. Finalmente, esisteva qualcosa di pubblico e di economicamente inutile per l’area da poter condannare e richiamare all’ordine. Una specie di “figlia mia sient’m, nora mia ‘ntiend’m”.
Da allora, le puzzolenti ecoballe e ogni altra minaccia di nuovi impianti per il trattamento di rifiuti, ciclicamente, hanno reso palese una nuova volontà ambientalista di base. Da allora sono iniziate le critiche forti, gli esposti alla procura, le marce. Volendo sintetizzare, si può affermare che nella Valle/Pianura del Sabato sono anni che la politica sbaglia, continuando nel dare risposte di merito attraverso l’assenza di prospettive.
Di fatto chi amministra, gestisce o lavora con l’ambiente, semplicemente, non lo fa. Chi, invece, amministra, gestisce o lavora con i rifiuti, continua ad avere delle convinzioni, sulla loro funzione sociale, totalmente separate dalla realtà dei fatti, ma di più, dalle aspirazioni della ragione.
I rifiuti restano quelle cose da nascondere, ma da cui guadagnare soldi, voti o consenso raccogliendoli o facendone quello che viene più semplice. Solo per pochissimi, sarebbero risorse da tenersi strette strette e valorizzare, innanzitutto per vivere meglio e, se si è bravi, anche per guadagnarci, ma questo è secondario e dico: secondario.
Si deve dire, però, che sbaglia anche il territorio, la gente, i comitati. La disperazione non porta buoni consigli, ovvio, ma nemmeno deve far allontanare dalla realtà. In quell’area, la munnezza, sicuramente, dà una bella botta all’invivibilità dei luoghi, eppure, oltre “sparare sulla Crocerossa”, si deve anche ammettere che l’attualità è stata una conseguenza attentamente coltivata da una somma di atteggiamenti singoli. Ancora non si sente mettere in discussione tutto il sistema sociale che ha accompagnato il presente di quell’area e che ancora non propone visioni, ma solo aggiustamenti in corso d’opera. Al termine dell’ultima marcia popolare, si è sentito accennare un solo mea culpa: “il responsabile sono anche io”, ha detto il parroco di Arcella, si spera che i più lo abbiano veramente compreso e non lo usino, invece, come prossimo capro espiatorio.
E’ duro, ma neanche il personale elenco dei morti di tumore, può essere ancora usato per denunciare inquinamento. Oramai, chiunque si sia confrontato con le tematiche ambientali dovrebbe sapere che quei numeri non possono creare evidenza, se non inseriti in una indagine strutturata, oggettiva, ufficiale. Eppure, mentre gli elenchi si ripetono, le lacrime scendono e la rabbia aumenta si continua a non rivendicare, più serenamente, il funzionamento del Registro dei Tumori, che già esiste in Italia, in Campania e anche in Irpinia, e che se fatto funzionare potrebbe dare oggettività di prova al dramma percepito.
Quel Registro langue per disinteresse dei territori. In Irpinia la struttura è tutorata da quella di Napoli, nessuno ne rivendica l’assenza nelle decisioni strategiche. E’ dimenticato anche dagli operatori del settore, dai medici di famiglia, fulcro di tutta l’azione di monitoraggio del Registro.
Quindi, non resta che: “Addosso alla puzza!”, ma solo a quella di casa nostra.
La nuova legge regionale sui rifiuti non è una una grande legge, abbiamo detto e agito da questo blog e con alcuni circoli PD, per spiegarne i dubbi. Amministra l’esistente e, tra l’altro, “regionalizza” i rifiuti quindi, nei nostri territori, crea legittimi dubbi per nuove colonizzazioni partenopee o per il proliferare di inutili termo-valorizzatori.
Il tema, però, è articolato, di sicuro c’è solo che, oltre la legge, è sempre limitato ragionare per parti separate, seguendo le ragioni di singole porzioni di territorio, abbandonando, ancora una volta, gli interventi di sistema.
Se la legge “regionalizza”, la soluzione non può essere solo “provincializzare”. Perché poi, se si dice anche che: “l’immondizia si deve trattare nei luoghi isolati e non in quelli abitati”, si dovrà passare alla municipalizzazione e poi alla “condominializzazione” dei rifiuti, quindi, ad un inceneritore per ogni unità abitativa.
Oppure, servirà essere molto convincenti sul perché nella Valle del Sabato, già degradata no, ma sul Formicoso quasi intatto e produttivo si o sul perchè ad Avellino che lucra edificando ogni spazio libero no ed a Campo Reale che continua a puntare sull’agricoltura estensiva, si.
Soprattutto, servirà chiarire come qualcosa di dannoso, diventi accettabile a fronte di una Royalty, di una diminuzione delle tasse comunali o della possibilità di nuovi posti di lavoro.
Difendere il proprio territorio dai cattivi che lo minacciano è stato già fatto, a volte perdi, a volte vinci, ma raramente realizzi modelli virtuosi. Chi, da fuori, ricorda le battaglie contro la mega-discarica di Difesa Grande ad Ariano Irpino, stenta sempre ad accettare che quelle folle di ambientalisti convinti abbiano eletto un sindaco che, pubblicamente, ritiene anti-economicosuperare il 30% di raccolta differenziata e che quel Comune sia 111° nella statistica provinciale con solo il 46,9% di R.D. e invece 5° per produzione di rifiuti procapite (304 kg/ab).
Lo sforzo comune, quindi, più che geografico, dovrebbe interessare la ricerca di nuovi punti di vista che coincidano, quanto più possibile, con la certezza che:
- il mondo inizia da casa nostra, ma finisce da tutt’altra parte,
- l’ambiente lo trasforma l’individuo,
- i rifiuti non vanno smaltiti correttamente, semplicemente non vanno prodotti,
- i rifiuti non esistono, esistono solo risorse da pianificare
- i servizi ambientali non sono uffici di collocamento per capipopolo,
- il loro costo, se troppo alto non per forza è giusto, ma se troppo basso sicuramente è illegale,
- il trattamento della “materia seconda” non è per forza invasivo,
- il compostaggio puzza solo se chi lo gestisce non lo sa fare, e per questo dovrebbe essere licenziato
- a Vienna dietro l’antica cattedrale svetta il camino di un termo-valorizzatore.
- se cessasse la demagogia sulla percentuale di differenziata raccolta e si iniziasse, invece, a contare la quantità effettiva di materia riciclata, in Campania, si parlerebbe, al massimo, di un altro termo-valorizzatore,
- la politica non deve seguire il popolo nelle marce, lo deve anticipare nelle scelte