“Le sirene sono una notte di birra e non viene più l’alba sono i fantasmi di strada che arrivano a folate e hanno voci di sirene“, canta Vinicio Capossela sul finale dello Sponz Fest. Il pezzo è già un capolavoro di suo, poi nel contesto del Goleto diventa avvolgente e ammaliante: ammaliante come il canto di una sirena. Uno stacco netto con il sabato selvaggio, tra le maschere di animale e l’assalto selvaggio nella Cupa. Altri pianeti nell’Abbazia, dopo le notti di birra e taranta, di batticulo e barrodromi a oltranza. Nel complesso religioso di Sant’Angelo dei Lombardi lo Sponz è diverso dallo Sponz, da tre anni. Ma nella domenica dei saluti è mostrare a chi non conosce questo festival e a chi non conosce il suo ideatore, che Capossela e la manifestazione sono molte cose e spesso tutte riuscite. Come un concerto tra mura antiche, sotto il cielo che sorride e minaccia. E con la luna che si affaccia sul finale. “C’è qualcosa di miracoloso qui“, fa il direttore artistico dello Sponz. “Che esista una domenica dopo il sabato dello Sponz è un miracolo che solo il Goleto riesce a fare“.
Suoni e angoli che in un certo senso stridono con le giornate precedenti, ma in qualche modo le completano. Quiete dopo la tempesta, ritorno alla normalità dopo una settimana pazzesca e travolgente. Che a volte ho trovato eccessiva: forse eccessivamente finta, artificiale. Però come al solito tutto dipende dagli occhi di chi osserva. E come si diceva con un amico fotografo “chi viene dalla città o dalla pianura resta affascinato dalla Cupa. Ma per noi questi scenari sono frasche, le frasche. Quelle che abbiamo dietro casa, che attraversiamo con la macchina per raggiungere ‘sti paesi, ste macchie piccolissime circondate da frasche, frasche…“. E allora vanno bene anche le frasche, va bene tutto. Vanno bene le facce da Sponz e quelli che arrivano pensando a una grande sagra. C’erano pure questi, gli omoni d’Irpinia, quelli che “Io non aggio capito che cazzo face stu Vinicio Capussele“.
Maschere e animali. E dall’altra parte, al Goleto, il Capossela che invoca resistenza sussurrandola. “Immigrati illegali a partire dal 1492”, c’è scritto sulla sua maglietta prima della musica della finalissima, “Santissima dei naufragati“. Riferimento chiarissimo ma senza chiasso, che arriva dopo l’incontro dei sindaci alla stazione sull’accoglienza dei richiedenti asilo. Ah la comunità, il senso di comunità! Lui la cita sta roba: “Lo Sponz è un festival, non so quanto possa servire ma forse è un senso di comunità che si è anche allargato. Però serve per darci l’occasione di amare una terra che è un manifesto per altre terre“. E su questo avrai pure ragione, maestro Capossela. Ma queste son parole, legittime e incoraggianti, che ascoltiamo da troppo tempo senza tanto seguito. Qua si litiga per una serata di agosto, si fanno sgambetti più o meno gravi. E queste son le cose meno tragiche, che però portano a un disegno complessivo inesistente. Mi piace lo Sponz, mi piace Cairano e il Goleto, le stazioni e la cupa, i castelli e i tramonti. Ma dall’altra parte mi infastidiscono: tutto fuorviante, dove la speranza è troppo forte in relazione ai buio che ci aspetta e che arriverà. E d’accordo, sono le stesse riflessioni di ogni fine Sponz. Ma nessuno dà seguito a nulla, come le sirene. “Le sirene non cantano il futuro ti danno quel che è stato“.