Oggi c’è stata una manifestazione a Roma davanti Palazzo Montecitorio in cui il coordinamento nazionale delle guide turistiche ha chiesto una regolamentazione più rigida in questo settore. Emilia Bonaventura era lì, l’abbiamo ascoltata soprattutto a proposito della nostra provincia. Perché se fare la guida è difficile ovunque, in Irpinia lo è anche di più.
Emilia, qui qual è lo stato dell’organizzazione turistica? Quante guide ci sono e dove principalmente prestano il loro servizio?
Fino a qualche anno fa in Campania il patentino era regionale. Dal 2013 con l’entrata in vigore della nuova legge siamo diventate guide turistiche nazionali e quindi senza limiti territoriali. In Campania risiedono più di 2000 guide turistiche. Quindi il problema non sussiste, potenzialmente possiamo lavorare ovunque. Dove c’è richiesta le guide vanno.
Ma quante svolgono il proprio servizio in Irpinia?
La materia è veramente molto complessa. A fianco a noi c’è una problematica di sovrapposizione di altre figure non abilitate, praticamente una forma molto dilagante di abusivismo. Ma questa figura in Irpinia c’è, è esistente.
Il turismo in Irpinia non è sviluppato, è un dato di fatto. La scarsa valorizzazione della guida in Irpinia è dovuta solo alla sovrapposizione di cui parlavi?
La scarsa valorizzazione dipende da fattori molteplici. Dipende soprattutto da uno sviluppo del settore turistico della provincia di Avellino che ora come ora rappresenta solo l’1% del turismo regionale dai dati della Camera di Commercio. Un flusso quasi inesistente. Abbiamo delle infrastrutture che lasciano a desiderare. Abbiamo un sistema di trasporti pubblico non rispondente alle reali esigenze, sia su gomme sia su rotaie. Anche se questa mancanza pare sarà colmata dalla riapertura della Avellino-Rocchetta. Altro fattore importante è l’assenza di dialogo dei Comuni con i professionisti. Altra problematica è la mentalità. Evidentemente strutture alberghiere e ristoratori ancora non sono entrati nella mentalità di come si lavori con agenzia di viaggio, tour operator.
Chiaro. Serve un impegno straordinario, se non una rivoluzione…
Già, non serve solo sensibilizzare la classe dirigente per potenziare infrastrutture e iniziare un dialogo. Sarebbe essenziale un dialogo tra guide turistiche e il mondo delle Pro Loco per esempio. L’anno scorso tentammo di aprirlo con le Pro Loco al livello regionale. Ma questo dialogo non è mai iniziato e non per nostra volontà.
Attualmente qual è lo status dei siti storici e archeologici del territorio e come potrebbero creare nuovi posti di lavoro?
Le dico subito: sono pochi quelli visitabili senza problemi. Mancano aree di parcheggio, aree per la manovra dei gran turismo. C’è necessità di interfacciarsi con enti e amministrazioni che vogliono dare un nuovo volto al turismo. Intercettare i fondi per tenere aperte queste strutture oppure incaricare associazioni di volontariato, che invece di occuparsi di visite guidate dovrebbero occuparsi dell’apertura e gestione di siti. Anche perché le Pro Loco non hanno nessun titolo per effettuare le visite guidate. È una sorta di abusivismo. Servirebbe un dialogo tra strutture sportive e attività ricettive. Per esempio sul Laceno non abbiamo un’offerta integrata. Oppure strutture alberghiere non pubblicano le loro tariffe sui maggiori siti mondiali.
Ciriaco De Mita la settimana scorsa nell’incontro con De Luca ha affermato che “anche se non siamo a Firenze e non abbiamo la reggia di Caserta, qua il turismo è possibile”. Lo ha fatto parlando di Laceno e della valle del Sele.
Bisognerebbe prima risolvere i problemi storici che ha Laceno, che ha Calabritto, che ha Caposele e tutti luoghi potenzialmente turistici irpini.
Crede che il Progetto Pilota possa portare a uno sviluppo del turismo Irpino?
Dipende. Da come viene gestito e dagli obiettivi che ha.