La stagione delle sagre autunnali viene e va, arrivederci al prossimo anno. Abbiamo mangiato, bevuto, ballato, comprato frutta verdura e tartufi, ascoltato qualche dibattito. Negli anni scorsi, con la crescita qualitativa di alcune manifestazioni, si sognava un’Irpinia vetrina. Per adesso la sagra resta vetrina di sé stessa, e sarebbe anche sbagliato dare alla sagra un peso eccessivo. La sagra è appunto una vetrina, bisogna vedere se poi nel negozio ci sia qualcosa di buono o meno.
Ma le edizioni dell’autunno 2016 confermano i grandi numeri. Dalle regine Montella e Bagnoli passando per Cassano Irpino, fino alla “sagra delle sagre” di Sant’Angelo dei Lombardi. Sarebbe bello se quei numeri si potessero contare con più precisione ma va bene così. Del resto sono sagre; appuntamenti in cui l’Irpinia della terra si mette in mostra e vende o propaganda piccole quantità di tanti buoni prodotti, tutto qui. Per cui non ci interessa in questo momento entrare nell’Irpinia dei santi, navigatori, poeti, allenatori ed esperti di turismo.
La sagra è bella perché sagra… oppure a molti fa schifo proprio in quanto sagra. Questione di gusti, abitudini, attitudini e pure altitudini. C’è naturalmente la schiera dei critici secondo i quali tutto va migliorato, bisogna puntare sul turismo ma sulla nicchia, anzi no sui grandi numeri e per più giorni, Irpinia tutto l’anno, ma i parcheggi si devono pagare, anzi non si devono pagare, l’ospitalità e l’accoglienza questa sconosciuta (e grazie, ti pare chi sta montando il suo stand sotto la pioggia con 4 gradi deve pure sapere se ci sta un museo, se il museo è aperto e a che ora apre?).
Né ci poniamo sulla sponda di quelli che magnifica Irpinia, solo l’Irpinia regala certe emozioni, Irpinia ti amo, unica al mondo, machenesannodelprovoloneimpiccato, selfie con castagna locale (no figlio mio, quest’anno castagne zero, ti sei mangiato quelle spagnole ma magari sono buone non lo so).
Del resto la sagra è un rito, una sagra ci vuole non fosse altro che per portare un po’ di soldi-ossigeno ai piccoli produttori locali. Ma una sagra ci vuole soprattutto perché ormai è un appuntamento fisso che non ti fa sentire triste da agosto a dicembre perché tanto ci vediamo alla sagra. Ed è un rito sano. Anche stantìo, costante, una strofa, non ti aspetti nulla di nuovo. Così come l’annesso convegno sulla valorizzazione del territorio, i discorsi sull’associazionismo, i campanilismi abbattuti per 3 giorni oppure esasperati per 3 giorni. Come il classico “tutto pronto per la sagra” o “soddisfazione per l’esito della sagra”.
La novità è il vecchio amico dell’università che ti viene a trovare e si porta la fidanzata nuova oppure due ingombranti passeggini che rallentano l’incedere del gruppo di dodici persone verso il Nirvana, lo stand del caciocavallo impiccato. Insomma, senza altre novità al di fuori del tempo che solo in casi rari sta migliorando i nostri paesi. Stesso luogo e stesso bar, stessa band alla solita ora sul solito palco e ci vediamo al solito stand. Con piccole variazioni sul tema, con tanti stand da fuori provincia e non sappiamo se sia una cosa bella o meno. Questo è, per adesso. A parte i bagnolesi che preparano la stagione sciistica, noi altri siamo quelli del mare a fine agosto, che chiudono gli ombrelloni e ci vediamo tra un anno. Al prossimo convegno sulla valorizzazione del territorio che nel frattempo non è stato valorizzato.