Si dice sempre “era una ragazza sorridente e tranquilla”. Si dice questo di chi si lascia andare e lascia un paese, una vita, amici e famiglia “senza un perché”. Si dice a proposito di chi si suicida. A volte siamo costretti a farlo anche noi, noi che scriviamo, per rendere un inutile omaggio a una vittima; magari scopiazzando dalle bacheche facebook dei conoscenti. Chi scrive adesso l’ha fatto tante volte. E ora ha deciso di smetterla. “Era una ragazza sorridente e tranquilla”. Lo dicono gli amici, lo sussurreranno anche oggi tra Bagnoli e Montella. Lucia si è suicidata a ventitre anni. Probabilmente si è gettata da un ponte. Ancora un ponte dopo quel maledetto ponte di Monteverde.
Lucia, come Giuditta di Calitri che tutti cercarono per una settimana, poteva essere sorridente all’apparenza. E tranquilla, ovvio. Sì, un aspirante suicida non dà in escandescenza nella pubblica piazza. E si continuerà a ripeterlo all’infinito, “era una ragazza sorridente e tranquilla”. E magari lo urleranno tutti, piangendo, al giorno dei funerali di Lucia. E tutti continueranno a cercare un perché. O forse a far finta di cercarlo.
La verità è che nessuna persona che decide di togliersi la vita è sorridente dentro. E non è neanche tranquilla dentro. E le formule “nessuno si sarebbe aspettato un gesto simile” non ci convinceranno più. Perché qualcosa va storto, continua ad andare storto in questa provincia. Le statistiche confermerebbero che non esiste nessun caso Irpinia sul fronte suicidi. Un paio di settimane fa lo ha spiegato anche la Caritas. Noi ci crediamo a quelle statistiche.
Ma crediamo pure che, a volte, troppe volte, questo sia un luogo profondamente infelice. E per di più, ci dispiace dirlo, omertoso. Una ragazza non può lasciare il mondo senza lasciare una traccia del suo addio, della sua decisione. In uno sguardo, in uno sfogo. Quello sguardo non è stato colto. Per Giuditta come per Lucia evidentemente. Non è un atto d’accusa verso nessuno. Non lo è per i genitori, che spesso conoscono i figli meno di altri. Non lo è per gli amici o le amiche, magari alle prese con i problemi del lavoro e quindi distratti dai propri guai per pensare troppo agli altri. Non è un atto d’accusa per chi opera nel sociale, perché chi si vuole suicidare non ve lo viene a dire.
Ma questa volta non accetteremo le formule classiche “era una ragazza sorridente e tranquilla, nessuno si aspettava un gesto simile”. Si può partire da qui per iniziare a costruire qualcosa. Togliendoci di dosso questa coperta di ipocrisia che sa di naftalina, iniziando a dire che a volte qui si sta male: proprio male. E’ il nostro unico contributo possibile. Ché qui basta poco, un lavoro perso o un contesto critico, per lasciarsi andare troppo presto. Non possiamo più nascondere questa nebbia. Dobbiamo uscire da un sottobosco furtivo di falsità. Gli altri si sforzino di cogliere gli sguardi, gli sfoghi. Noi non diremo “era una ragazza sorridente e tranquilla”. Noi diremo che una ragazza che si chiamava Lucia si è suicidata. Che un’altra ragazza si è suicidata.