L’emergenza coronavirus ha fatto passare in secondo piano tutto. Ora che l’Italia inizia ad avviarsi verso la fase 2, ricominciano pure le riflessioni degli addetti ai lavori su ciò che sarà la nostra società nei prossimi mesi e forse anni. Organizzare la ripresa delle attività produttive, della socialità. Ripensare modelli gestionali, dalla sanità alla scuola, che in queste settimane di pandemia e lockdown hanno mostrato limiti o evidenziato potenzialità. Sono questi i punti all’ordine del giorno, anche in vista dell’avvio del nuovo ciclo di programmazione europea 2021-2027.
La discussione su Webex promossa questa mattina dal dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli, da due anni promotore di un master dedicato alle aree interne che vede l’Alta Irpinia come campo di azione della proposta formativa, si inserisce bene nel dibattito pubblico attuale partendo da quella SNAI (Strategia nazionale per le aree interne) nata sette anni fa con l’ex ministro Fabrizio Barca e che oggi inevitabilmente deve confrontarsi con uno scenario in gran parte mutato.
“Bisogna ripensare radicalmente l’insieme degli obiettivi messi in campo oggi, che nel caso dell’Alta Irpinia vanno profondamente rinnovati. Si dovrà superare la difficoltà ad andare oltre il semplice elenco delle opere da fare”, afferma il professore Carlo Gasparini. “Il rilancio della Snai sarà difficile, la fase che si apre dal punto di vista economico per l’allocazione delle risorse sul territorio nazionale è complessa. Le città sono diventate delle aree interne in queste settimane. Cosa serve di più, sanità di territorio o in ospedale? Come cambieranno i trasporti o la didattica? I distretti rurali e del cibo, il turismo esperienziale che interessa nicchie ma non può prescindere dalla relazione con i luoghi e le persone, possono essere la chiave di volta del prossimo settennato? Sono queste le domande da porci”, dice.
Sulla stessa posizione Sabrina Lucatelli. “Sono contraria a un raddoppio delle aree SNAI oggi così come sono dell’avviso che la governance multilivello (Stato-Regioni-Comuni) sia difficile, ma irrinunciabile – spiega la componente nucleo di valutazione del Dipartimento per la coesione del Governo -. Quello che è certo è che non tutto può farlo la Strategia aree interne. In questi anni è emerso con evidenza. Sui servizi come scuola, sanità e trasporti, abbiamo potuto innovare molto meno di quanto avremmo voluto perché non c’era possibilità di deroga. Se una scuola per conservare un preside deve avere per forza 500 alunni, stiamo condannando un territorio interno a restare senza dirigenti scolastici. E in tempi di emergenza come quella che viviamo sappiamo quanto sia difficile operare senza una guida. Serve quindi un’azione parlamentare che accompagni la SNAI o rifaremo gli stessi errori nel prossimo settennato. Il piccolo ospedale non va più? Allora i servizi vanno dati in maniera diversa”.
Secondo l’esperta di politiche per lo sviluppo, altre mancanze della sperimentazione in questi anni sono state sottostimare il ruolo della comunicazione e dello story telling (poche aree hanno una pagina Facebook), il numero eccessivo di Comuni coinvolti nelle singole aree e una visione a volte distorta delle realtà territoriali. “Tutte le aree volevano lavorare sul turismo, si sentivano i più belli del mondo. Ma c’è una domanda turistica? Molti luoghi abbiamo dovuto frenarli”.