“In un paese come questo e come tanti del nord Italia, un paese in culonia, si compiono grandi prove di resistenza”. Dario Vergassola lunedì sera sul palco della 42esima edizione della Rassegna teatrale di Sant’Andrea di Conza ha punto più volte pubblico e amministratori durante il suo dialogo con Moni Ovadia, “Un ebreo, un ligure e l’Ebraismo”. Li ha punti con l’intelligente ironia di chi non nega l’esistenza di gap e ritardi, dovuti innanzitutto alla collocazione geografica dei luoghi, le aree interne, e poi alle infrastrutture che mancano o non sono manutenute. “Venendo da Salerno, a un certo punto in quella strada assurda tra le pale eoliche il tom tom si è suicidato”, ha detto ad esempio. Ma Vergassola non ha omesso di cogliere la straordinarietà di un’esperienza che si ripete da anni e che porta 500 persone per quattro serate in un teatro all’aperto, sotto le stelle e l’umidità, in un mese d’agosto affollato e forse ingolfato ovunque di eventi.
“Ne parlavo col vecchio Ovadia prima dello spettacolo – ha detto ai nostri taccuini a margine dello spettacolo – , queste sono realtà incredibili. Passi su per dei monti sperduti, il posto peraltro è molto bello, ma non ci pensi che troverai questa voglia di fare delle programmazioni che ti portano a parlare anche di temi importanti come l’ebraismo. La gente non arriva a questo di botto, devi prepararla. Invece qui il pubblico è molto attento, risponde bene, sembra di essere in teatro a Milano d’inverno. Con gente così ci meritiamo sempre personaggi politici non all’altezza e questo è il nostro paradosso italiano”.
Sulla Festa del libro, arrivata alla settima edizione e iniziata proprio ieri sera, il comico ligure ha commentato: “È una prova di resistenza perché librai e insegnanti fanno cose straordinarie, come se la loro fosse una missione, un lavoro preziosissimo visto il contesto generale. Io se chiedo chi è il ministro della Cultura di questo Governo, nessuno lo sa. È stato zero finora. Non va neppure in televisione a parlare. Siamo circondati da gente che fa selfie e nessuno si preoccupa del domani, di educare alla cultura, con una programmazione da oggi a 10 anni”.
Venendo al “duetto” con Ovadia, una chiacchierata alla ricerca di una compatibilità non difficile ma neppure scontata tra il mondo ebraico e la cultura ligure e quindi italiana, Vergassola ha fatto della sua capacità di improvvisazione il punto di forza della serata. Diversi i riferimenti al contesto, dalle strade ai rintocchi del campanile, trasformati in protagonisti della scena e completamento di una scenografia volutamente scarna.
“La gente ha voglia di stare a sentire ma spesso manca un accompagnamento alla fruizione di prodotti culturali. Io sono un comico, ma non faccio solo cazzeggio. Porto in scena anche i classici di Omero. La cultura deve essere divertente se no è finita. Le cose imposte non vanno bene”, ha chiosato. Ovadia dal canto suo non ha mancato di diffondere ancora una volta un messaggio di speranza e accoglienza, da convinto non sionista, l’essere straniero tra stranieri come condizione alla base della civile convivenza tra popoli e culture.