Morire la domenica Chiesa Cattolica, Estetica anestetica provincia cronica (I provinciali, Baustelle)
Tra i tanti temi dimenticati, in giro per queste campagne elettorali, c’è la bellezza. Immaginate per un attimo un paese giardino, un paese coi fiori su ogni angolo di cemento, pure sulle case popolari. Potrebbe essere un’idea. Come smantellare i casermoni abbandonati in quei borghi che, e non si sa perché, qualcuno ha il coraggio di chiamare borghi. Oppure trovare una soluzione e nascondere il grigio, ricoprirlo con un’edera magica. Si poteva parlare di turismo, ma tenendo ben presente che il turista qui non ci viene e non ci verrà mai se non si comincia una rivoluzione culturale che sia immateriale e materiale.
Si potevano fare tante cose. Poi sento il sindaco di Bisaccia, Marcello Arminio, smontare in maniera netta la bellezza o la sua retorica. Una frase del suo lungo attacco all’avversario Franco Arminio è emblematica. “Dice che il giovedì i giovani devono cantare! E ne teniamo ca..i?”. Ciascuno può leggerla come vuole, credere in un Arminio o nell’altro. E continuare a pensare a una bellezza possibile, anche in maniera diversa. La concretezza? Mettere pezze o cerotti, alle strade e ai cristiani? O il canto del giovedì sera? O l’arte? Oppure i fiori o i murales che appaiono qua e là?
Il fatto è che dove si sono messi fiori nei cannoni, nei cannoni del cemento e dell’indistinto, la rivoluzione non è arrivata. E non sono arrivati i turisti né le nuove nascite. Con case a un euro o a pochi euro, coi testimonial a sponsorizzare un buen retiro o la contemplazione del paesaggio, nulla è cambiato da 10 anni a ‘sta parte e da nessuna parte. Nemmeno a Cairano.
E adesso arriva l’estate, forse. E quindi saremo costretti a sorbirci l’illusione degli spettacoli, i sociologi intellettuali, gli irpini che ce l’hanno fatta e dicono “Sì ma voi dovete restare. Voi cominciate, io poi vengo”. Ed ancora le carovane festose accattivanti nel borgo che solo poche settimane prima era la sintesi della disgrazia, l’apice dell’apoteosi del deserto. E ci allontaneremo dal concerto del corso principale per andare in un bagno chimico. E fuggiremo dal bagno chimico per andare a farla altrove. Così ci affacceremo col fresco della sera guardando sbigottiti i piccoli agglomerati delle periferie altirpine post-terremoto. Inno alla ex Jugoslavia.
Benché caratterizzata da un piattume logorante, vorrei che questa campagna elettorale durasse fino a settembre. Un mese è troppo poco per dibattere, per trovare sbocchi, per provare a essere innovativi, per pensare a una tesi e demolirla da solo prima che lo faccia l’avversario. Dovrebbero istituire la campagna elettorale estiva obbligatoria, così forse si metterebbe qualcosa in pratica pure d’inverno.