Nei prossimi mesi la Giunta regionale attraverso l’assessore alle Attività produttive Amedeo Lepore dovrebbe procedere alla riforma delle Asi. L’ultimo “ritocco” ai consorzi per le aree di sviluppo industriali regionali c’era stato nel 2013 quando a Palazzo Santa Lucia siedeva Stefano Caldoro.
Era una riforma, quella, che preceduta dalla legge regionale sul riutilizzo dei suoli industriali approvata nel giugno 2012, interveniva per rilanciare il ruolo dei consorzi sbloccando la situazione di immobilismo in cui ci si era venuti a trovare: basti pensare che oggi nelle otto aree industriali della 219/81 in Alta Irpinia cui si aggiunge Nerico ci sono 101 lotti, non tutti edificati, ma solo 59 aziende attive. I restanti lotti e opifici risultano assegnati e/o occupati da aziende non ancora partite, fallite o che hanno delocalizzato (per colpa della crisi economica e per ragioni storiche). La riforma del 2013 provava quindi a immettere linfa nel circuito aprendo al riutilizzo e all’attrazione di nuove proposte imprenditoriali, anche se molti lotti andavano e andrebbero bonificati dall’amianto o da rifiuti e residui di produzione: in altre parole, non sono immediatamente spendibili sul mercato.
Due anni dopo poco o nulla è cambiato in Irpinia. I debiti dell’Asi Avellino viaggerebbero intorno ai 6 milioni di euro: debiti maturati nel tempo, secondo alcuni per le varie gestioni poco oculate dell’ente ma sui quali influisce pure l’evasione degli imprenditori, chiamati a pagare per i servizi che l’Asi fornisce loro e spesso insolventi. Guardando le cose da un’altra angolazione, gli stessi imprenditori lamentano livelli di servizio non sempre adeguati: del resto manutenzione del verde pubblico, pulizia e vigilanza sono scarse o assenti in diversi casi.
I dettagli sui conti del consorzio si conosceranno meglio nelle prossime settimane, dato che entro il 30 gennaio si dovrà approvare il bilancio. Intanto ci si divide tra chi, come il presidente Giulio Belmonte, parla allarmato di fallimento e si scaglia contro la Regione Campania (sono 34 i milioni di euro che da due anni il consorzio attende per il riammodernamento delle aree industriali e degli impianti di depurazione) e chi come il segretario della Cna Lucio Fierro o il consigliere regionale dell’Udc Maurizio Petracca si augurano una rivoluzione nel settore che passi proprio attraverso l’iniziativa di Palazzo Santa Lucia. Dello stesso avviso l’assessore Lepore.
IL CAPITOLO CGS – I sindacati invece minacciano di bloccare i servizi di depurazione. E’ il CGS, il Consorzio Gestione Servizi, la tecnostruttura partecipata al 100% dall’Asi Avellino che cura la manutenzione delle aree industriali irpine e quasi tutti gli impianti fognari e di depurazione a servizio delle stesse. Il CGS è oggetto del concordato in continuità dopo essere stato messo in liquidazione. Sono 79 i lavoratori (costano circa 3 milioni di euro l’anno) che rischiano il posto di lavoro. Già con la procedura di mobilità del 2014 erano stati individuati 24 dipendenti in esubero. Soprattutto impiegati, assunti negli anni in numero maggiore al fabbisogno: sono più del 50% del totale. Oltre al personale, tra i costi sostenuti dal CGS figurano voci legate direttamente al funzionamento degli impianti, che richiedono risorse importanti: per la sola fornitura di energia elettrica si spendono circa 70mila euro mensili, che fanno di Enel il maggior creditore del consorzio.
I 34 milioni di euro attesi e non arrivati dalla Regione Campania servirebbero a intervenire sugli impianti di depurazione, in particolare potenziando il trattamento dei rifiuti liquidi sversati con autobotti da terzi esterni. Nel conto terzi infatti risiedevano le speranze di risanare le finanze del consorzio, ma gli impianti di Calitri (apertura prevista a maggio 2014) e Calabritto non sono ancora partiti e resta l’incertezza su quando inizieranno l’attività. La soluzione del problema appare quindi lontana ed è chiaro a tutti che alla base ci sia un nodo di natura politica, relativo soprattutto al futuro dell’industria irpina e allo spazio da riservarle nella strategia complessiva di sviluppo della provincia, che dovrebbe andare ben oltre il valzer di poltrone per la gestione degli enti di servizi.