La manutenzione delle strade in Alta Irpinia è la misura su cui principalmente punta il Progetto Pilota alla voce mobilità. La manutenzione delle strade e i trasporti sono anche due ingredienti dai quali il progetto della futura “Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese”, sponda irpina, non potrà prescindere se vuole avere una ricaduta economica e di immagine. Altrimenti meglio non farsi illusioni e sapere sin da ora che sarà soltanto faccenda pugliese.
“Siamo ottimisti perché il Governo sta spingendo molto per questo progetto – sottolinea Giuseppe Dimunno della Fiab –. Finanzierà almeno la fase di startup con circa 12 milioni di euro in tre anni, ma da Roma vogliono sapere esattamente dalle Regioni per cosa dovranno essere stanziati. Siamo ottimisti anche perché incontriamo amministratori intelligenti che hanno deciso di puntare sul cicloturismo come spot per un territorio sano, pulito e con prodotto di qualità”.
Dimunno, foggiano, lavora al progetto da anni. Un’idea partita da lontano, guardando oltralpe, ma pure al Trentino o alla Toscana, sulla quale si è iniziato a ragionare già a inizi anni Duemila. “L’Acquedotto Pugliese, opera dei primi del Novecento, ha cambiato notevolmente l’aspetto territoriale della Puglia che da essere terra arida è diventata luogo di produzione agricola. L’acqua irpina attraversa tre regioni e lo fa grazie a ponti e canali monumentali, in più punti tutelati dalla Soprintendenza – ci spiega –. Per lungo tempo appassionati di trekking, escursionismo o mountain bike hanno percorso quei canali pensando fossero tratturi. Poi finalmente si è preso coscienza della realtà”.
Di qui l’impegno della Fiab che ha iniziato a mappare il territorio per costruire itinerari per il cicloturismo e l’escursionismo. “Il Sud ha un grosso potenziale e questa ciclovia potrebbe essere la prima del Mezzogiorno – continua – ci sono tante aziende ricettive e agriturismi interessati al progetto, che già hanno un’offerta valida da proporre. Noi chiediamo che il percorso da Caposele a Santa Maria di Leuca, circa 500km, venga completato e tutto l’itinerario venga aperto ai cicloturisti”.
Studi dell’Unione Europea alla mano, Dimunno ci fornisce qualche dato. “Li ha ripresi anche Confindustria e io li ho adattati al nostro caso”. Una ciclovia da 500km genererebbe un indotto potenziale annuo di 12,5 milioni di euro. Sistemare il percorso a regola d’arte richiederebbe una spesa complessiva di circa 45 milioni di euro. “L’investimento in 3-4 anni rientrerebbe del tutto. I fondi sarebbero pubblici, la ricaduta distribuita tra pubblico e privati. Certo, perché funzioni c’è bisogno di un buon sistema di governance e di una comunicazione efficace”.
Ma veniamo all’Irpinia che è interessata dalla ciclovia per circa 60km. “A questo punto è necessaria una precisazione – puntualizza l’esponente Fiab –. Mentre in Puglia l’acquedotto scorre vicino al terreno e da Castel del Monte in poi l’acqua viaggia a 4km orari, prestandosi anche al cammino a piedi dei pellegrini, in Basilicata e Irpinia la situazione è molto diversa. Da voi l’acquedotto è quasi completamente interrato, l’acqua scorre in gallerie che si trovano anche a 400 metri di profondità. L’orografia irpinia inoltre è molto diversa da quella pugliese e poco adatta ai principianti”.
Il percorso dovrebbe quindi svilupparsi sfruttando le strade locali, la viabilità secondaria o provinciale. “Le strade andrebbero sistemate, così come bisognerebbe migliorare notevolmente i collegamenti da Napoli, hub del progetto assieme a Bari, verso Caposele. Uno dei pilastri del progetto è la presenza di una rete di trasporti intermodale che in Irpinia può essere assicurata dalla riapertura a fini turistici della Avellino-Rocchetta o dal potenziamento degli autobus dotati di rastrelliere per permettere ai cicloturisti di godere di tutto il percorso”.
Un’altra scommessa, potenzialmente molto redditizia per le comunità. A patto che, come si suol dire, si faccia presto.