Il suo sarà un NO secco al referendum del 4 dicembre, un No contro una riforma costituzionale “che svela una torsione autoritaria e antidemocratica delle istituzioni del nostro Paese”. Un No dovuto anche alle novità che la Riforma Boschi introduce in materia di energia. Roberto Buglione De Filippis, del collettivo Attack Irpinia, è stato a lungo tra gli animatori del Coordinamento irpino No Triv: lo scorso aprile predicava il Sì all’abolizione di quel passaggio dello Sblocca Italia che apre la strada alla semplificazione delle procedure per la concessione di autorizzazioni per la ricerca di idrocarburi. Il referendum tuttavia non raggiunse il quorum. Oggi ci riprova a fermare il Governo e la sua politica energetica.
Qualche mese fa c’erano anche alcuni esponenti del Partito Democratico qui in Irpinia a fare campagna elettorale contro il petrolio. Questa volta invece saranno dall’altra parte della barricata.
Ad aprile in realtà in favore del Sì c’erano due diverse posizioni: quella di chi, come me, metteva in discussione tutta la strategia energetica degli ultimi governi nazionali, e quella di chi militando nel PD non metteva sotto attacco tutto l’impianto. Questo ha fatto sì che non si comprendesse la portata politica del referendum e che passasse il messaggio secondo il quale gli italiani stavano scegliendo solo sulle trivellazioni in mare.
Il suo NO alla Riforma Boschi sarà quindi motivato anche dalla modifica dell’articolo 117 che accentra nelle mani del Governo la potestà legislativa su produzione, trasporto e distribuzione dell’energia?
Certamente. Qualche giorno fa è stato pubblicato un comunicato del comitato per il Sì che fuga ogni dubbio sugli effetti che la riforma produrrà affermando che sarà possibile rilanciare le attività di ricerca ed estrazione di gas e petrolio in Italia, ostacolate da troppi passaggi e vincoli locali. Un effetto che non condivido perché frutto di un disegno più ampio: è l’Europa a chiedere questa modifica della Costituzione in senso neoliberista. Non modifichiamo la Carta costituzionale perché arretrata, ma perché ci sono interessi internazionali a chiederlo, ad esempio sulla realizzazione del gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline) che attraversa la Puglia. Poi vorrei precisare che questa riforma tocca la seconda parte della Costituzione, ma con la Buona Scuola o il Jobs Act è già stata smantellata la prima parte del testo costituzionale… Tornando all’energia, sono i territori che devono decidere e l’impostazione avuta fino a oggi, che consentiva ai sindaci di dire la propria delle conferenze dei servizi o alla Regione di legiferare, era corretta: così invece, dopo anni in cui ci hanno predicato il federalismo, viene svelata la torsione autoritaria e antidemocratica del nostro ordinamento privando gli enti locali del potere di scelta dei modelli energetici da attuare.
Citando un esperto di ambiente e tra i No Triv irpini più attivi, Mario Pagliaro, qualcuno potrebbe obiettare che, alla luce del caos eolico in Alta Irpinia e dei timori per le trivellazioni a Gesualdo, questa autonomia finora non ha prodotto grandi risultati. I sindaci spesso non partecipano alle conferenze dei servizi, c’è molta “disattenzione” e sui territori si tende a correre ai ripari a danno già maturato.
Se c’è una cosa su cui mi trovo in completa sintonia con l’intervista che Pagliaro vi ha rilasciato (leggi qui), è proprio la parte in cui lui sostiene che la politica e gli amministratori non hanno fatto finora il proprio dovere. Concordo infatti sulla fuga dalle responsabilità che accomuna sindaci e politici eletti dal popolo, una classe dirigente preoccupata di occupare posti negli enti sovracomunali, una classe dirigente regionale che da Caldoro a De Luca, nonostante sia stata più volte incalzata, non è stata capace di mettere mano a un PTR o al piano paesaggistico. Ben venga che sia un esponente del Partito Democratico a prenderne coscienza… però io credo che non possiamo stravolgere le regole del gioco solo perché abbiamo una classe dirigente incapace.
A proposito di Regione Campania, sembra che sulla redazione del PEAR qualcosa si muova. Quanto meno si è preso atto della saturazione da pale eoliche in Alta Irpinia però abbiamo la sensazione che ci sia un po’ di confusione tra i primi cittadini e i comitati sulle richieste.
Per quanto mi riguarda sostengo che il punto non sia togliere pale già installate o bloccare tutte le autorizzazioni, espediente cui si è dovuto ricorrere attraverso la moratoria per l’assenza – come dicevo prima – di un Piano energetico ambientale. Il vero snodo della questione è che l’energia, come l’acqua ad esempio, dovrebbe essere considerata bene comune e in quanto tale l’accesso ad essa dovrebbe essere sottratto dal profitto delle multinazionali o dei cementificatori, e dato agli enti locali. L’Irpinia dovrebbe diventare un territorio dove l’energia è a km zero e può esserlo perché già oggi quello che produciamo con gli impianti eolici copre il fabbisogno provinciale. Ma per fare questo i sindaci dovrebbe essere affezionati alla loro terra, ragionare meno per appartenenze di partito e svolgere funzione di tutela del territorio, anche rispetto ad atti intimidatori da parte della criminalità organizzata.