Lasciandosi sulla destra lo spuntone roccioso su cui sorge Quaglietta, l’area industriale di Calabritto-Senerchia si presenta come un serpentone lungo un chilometro e mezzo, parallelo quasi al percorso del Sele, al di sotto della strada che dal comune di Calabritto – appunto – porta in quello di Senerchia. Otto lotti, uno dei quali libero cioè privo di capannoni.
“Un’area ex art.32 della Legge 219, vero capolavoro dell’industrializzazione post terremoto in Campania” – commenta ironico Claudio Mazzone, segretario del circolo PD “Teresa Mattei” di Senerchia, che del post sisma ha fatto una tesi di laurea prima di approfondire materie come economia industriale e logistica. “L’idea di collocarla qui non era malvagia: logisticamente siamo messi bene. Salerno centro è a 40 minuti, c’è la Fondo Valle Sele, la via Nazionale – Ma non c’è stato un controllo autorevole su chi veniva a insediarsi e si è lasciato molto al caso. Ecco perché oggi i numeri dicono che è stata un’occasione sprecata”, osserva Mazzone.
In effetti i numeri sono quasi drammatici: nelle previsioni della 219/81 l’area industriale avrebbe dovuto dare lavoro a 312 addetti. Oggi siamo sotto le 100 unità. Su 7 lotti occupati, solo cinque sono in uso mescolando agroalimentare e meccanica, rifiuti elettronici e lavorazione del legno. “Mi sono sempre chiesto come fosse possibile produrre pasta accanto a una fabbrica di bulloni – sottolinea Mazzone – però in effetti quella della Bontempi Vibo spa è la realtà più in salute dell’area. E’ qui dal 1986 e dà lavoro a una cinquantina di persone. Ci sono famiglie di Senerchia ad esempio che lavorano qui da sempre”.
Accanto alla bulloneria, il capannone abbandonato di Compagnia Agroalimentare San Pio srl. L’azienda nel 2006 era rientrata pure nel Contratto d’area della Provincia di Avellino, produceva Pasta Soprana in 35 formati. Poi nel 2013 il fallimento in Tribunale.
Sul lotto successivo ci si imbatte nella Ecosystem, stesso gruppo della TecnoPannel: una ventina di addetti impegnati nella realizzazione di semilavorati in legno per il settore del mobile, anche in conto terzi. Poi è la volta della Teredo, dove dal ’91 si fabbricano trivelle con una decina di lavoratori, e dell’oleificio “Valletta”. Attivo dal 2012, tre i dipendenti, diverse commesse. Con gli ultimi due lotti si entra nel comune di Senerchia. Il primo, attraversato proprio dal confine comunale, è occupato dalla Bio.Con. Insediata nel 2000, l’azienda che si occupa di recupero e riciclaggio RAEE, una realtà unica nel suo genere in Italia, dà lavoro a una ventina di addetti, ma vive momenti di grossa difficoltà.
“A dicembre la parlamentare Valentina Paris visitò l’azienda e si impegnò a perorarne la causa, a partire dalla questione ammortizzatori sociali – spiega Mazzone – La fabbrica dovrebbe essere inserita anche in un progetto sul Made in Italy della webtv PD, YouDem”. Intanto però le ore di cassa integrazione giornaliere sono passate da 3 a 4, e tre unità sono andate via. A questo si aggiungono una serie di furti subiti negli ultimi anni. “C’è un grosso problema sicurezza in questa area industriale – sottolinea il segretario democratico – L’illuminazione è carente, per non parlare nel fatto che le aziende non sono servite da Adsl. Altro problema è quello degli allagamenti: quando piove la strada diventa una piscina”.
Eppure c’è stato un periodo però in cui nell’area industriale le cose andavano bene, una parentesi di un paio di anni in cui le fabbriche producevano tutte. “Era il ’93-94. Al posto dell’oleificio c’era un’azienda che produceva faldoni per archivi, dove ora c’è la Bio.Con ancora non c’erano capannoni e poi c’era la nostra Green Fire” – ricorda un’ex operaia della fabbrica che originariamente occupava l’ultimo lotto. “Eravamo una quarantina di persone, quasi tutte di Senerchia, ma ce ne erano anche di Calabritto e uno veniva da Montella – Siamo stati aperti dall’89 al ’98, poi il fallimento definitivo. Due anni di mobilità; venimmo presi, noi di Senerchia, come Lsu dal Comune, e qualcuno è ritornato a lavorare in qualche fabbrica”. Sui capannoni della Green Fire l’ombra dell’amianto, trovato e smantellato, come testimoniano gli scheletri delle strutture rimaste senza coperture.
Nel lotto ci finì tempo dopo la A.R. Industrie alimentari, un conservatorificio durato qualche anno. L’ultima vita quello spazio l’ha vissuta di recente: fino allo scorso anno infatti il Comune organizzava al suo interno una fiera interprovinciale. Qualche finestra rotta, qualche porta lasciata aperta, erbacce: fuori, dall’altra parte della strada, a pochi metri, mucche e vitelli al pascolo sotto il sole della Valle del Sele.