Un Sud contraddittorio, che continua a restituire dati in controtendenza. È quanto emerso dal convegno “Ripartire dal Sud. Rilanciare l’Italia”, al carcere Borbonico di Avellino. Alcuni esponenti del Pd, il progetto Harambee e Svimez, hanno preparato un focus sul Mezzogiorno dove, secondo l’ultimo rapporto Istat, il 40% dei giovani non studia né lavora. Ma 200.000 sono laureati e la spesa delle famiglie per farli studiare è di circa 2 miliardi di euro l’anno.
“Un Sud dove c’è il più alto numero di start up innovative e dove c’è la misura Resto al Sud che ha riscosso grande partecipazione – ha detto Luigi Famiglietti -. La questione meridionale è soprattutto questione giovanile. Alla quale si aggiungono la messa in contrapposizione con quella settentrionale, grave errore del Pd che deve invece caratterizzarsi come partito nazionale. E la questione sociale: aumenta la povertà e 5 regioni meridionali non raggiungono un livello sufficiente di assistenza sanitaria”. Secondo l’ex deputato Pd, il motivo del voto ai 5 Stelle non è solo il reddito di cittadinanza, ma la necessità di protezione sociale della quale non è riuscito a farsi carico il Pd. “In ultimo, la questione meridionale è anche quella della classe dirigente. Il trionfo dei 5 Stelle al Sud è avvenuto dove era alla guida il Pd, è evidente che qualcosa non andava nel modo di fare politica e nella gestione del partito nel Mezzogiorno”, ha concluso.
Sulla stessa linea, le parole del senatore Matteo Richetti, in città per partecipare all’incontro e focalizzare l’attenzione soprattutto sulle linee guida da seguire per ripartire dai giovani del Mezzogiorno. “Vittoria dei 5 Stelle perché non siamo ripartiti dal Sud. Di conseguenza le persone hanno riposto le speranza altrove per mancanza di risposte alle loro esigenze. Forse con alcuni provvedimenti una risposta c’è stata, ma la relazione con questo pezzo di paese non si consuma con dei provvedimenti, piuttosto con la capacità di comprensione”. Entrare, dunque, nella complessità di questi fenomeni collettivi, non solo denunziarli. “Questo non è l’ennesimo convegno per raccontare i ritardi del Mezzogiorno – ha proseguito Richetti -, ma per cercare di smontare e rimontare le politiche. Ripartire dal Mezzogiorno non serve solo al Pd, ma innanzitutto al Settentrione che vive di 170 miliardi di consumi di questo pezzo di territorio. Basta raccontare il paese attraverso una contrapposizione, l’Italia quando va forte è soprattutto grazie al contributo del Sud. Bisogna trovare un elemento di cooperazione e non di competizione. I giovani saranno la mia ossessione, perché è impossibile che nel secondo paese più vecchio al mondo si continui a dare contributi ai pensionati se vengono a vivere nel Mezzogiorno. Non vogliamo mica farne un gerontocomio?”.
Per far ripartire il Sud c’è bisogno di un nuovo meridionalismo fatto di nuovi investimenti. E di concentrarli soprattutto sul futuro delle nuove generazioni, per invertire la tendenza ad emigrare all’estero. Secondo il direttore della Svimez, Luca Bianchi, lo si può fare “creando lavoro, ricostruendo quelle politiche di sviluppo che negli ultimi anni sono state abbandonate. Lo dimostrano i dati, come la quota di spesa pubblica del Mezzogiorno decisamente al di sotto della spesa pubblica per gli investimenti al Centro Nord”.
Quote asili nido, assistenza agli anziani, scuola. Da ricostruire, secondo l’analisi di Bianchi, anche il livello dei servizi per i cittadini, “perché l’abbandono del Mezzogiorno è dovuto non solo alla carenza di lavoro, ma anche a un deterioramento della qualità della vita. I dati dimostrano un allontanamento dei livelli del Sud da quelli del Centro Nord e dell’Europa. Impressionante come si stia anticipando la scelta di emigrare. Prima avveniva dopo la laurea per la ricerca di un lavoro, oggi già al momento dell’iscrizione all’Università. Se non ci sarà un grande investimento sull’istruzione, non si riuscirà ad invertire tale tendenza e, visti i risultati straordinari dei giovani del Sud quando vanno altrove, bisogna dare loro le condizioni per creare sviluppo nel loro paese d’origine. Non basta il reddito di cittadinanza, perché ciò che chiedono i giovani non è assistenza”.