“Insieme agli altri miei compagni c’eravamo proprio divertiti a torturarlo, a sputargli addosso, a prenderlo a calci in faccia”. La voce narrante, in questo caso, interpretava uno dei soldati che hanno accompagnato Gesù alla morte. Parole che ritornano molto simili nella cronaca degli ultimi giorni. Il tempo inclemente a Mercogliano non ha permesso di mettere in scena la via Crucis dalla chiesa dell’Annunziata a quella di San Giovanni. Ma non ha stravolto la successione dei testi parlati, dei brani musicali, delle scene proiettate e degli oggetti che sono stati posti dinanzi all’altare, le catene, una tunica, le candele, un lenzuolo bianco, e che hanno dato vita alla via Crucis “Sulla mia pelle”. Non solo il racconto del calvario di Gesù prima della sua morte. Ma anche quello di chi porta la croce oggi. O di chi l’ha portata, come Stefano Cucchi.
“Come ogni anno la via Crucis è l’occasione per ripercorrere le sofferenze dell’umanità. Gesù ha preso sulla sua pelle le nostre debolezze, i nostri peccati. Così come ha fatto Stefano Cucchi, morto qualche anno fa”, don Vitaliano Della Sala ha introdotto così la via Crucis nella chiesa dell’Annunziata a Mercogliano. “Il corpo era pieno di ferite, il volto insanguinato. Faceva impressione!”, a parlare altri due soldati. Il volto di Gesù come quello di Stefano Cucchi. La sua vicenda non ha lasciato indifferenti i giovani dell’Oratorio Don Bosco di Mercogliano che hanno voluto accostarla alla Passione di Cristo. I ragazzi dell’oratorio scelgono storie attuali, ascoltano musica, guardano film, e tra questi hanno visto anche Sulla mia pelle. Ci hanno riflettuto. Hanno deciso di far dialogare la sofferenza del giovane Cucchi con quella di Gesù, e con quelle che tutti abbiamo sotto gli occhi quotidianamente, dagli immigrati, alle donne e ai bambini maltrattati. Dai poveri, agli ammalati, agli esclusi. Gli emarginati c’erano duemila anni fa e ci sono oggi. I potenti lo stesso. Si sono susseguite, intervallando i brani del Vangelo che raccontano le stazioni della via Crucis, Pensa prima di sparare di Fabrizio Moro, Il giorno di dolore che uno ha di Ligabue, Esseri umani di Marco Mengoni, La cura di Franco Battiato. Ma anche il rumore delle catene “che leghiamo intorno agli altri con i nostri pregiudizi e le calunnie”, ha commentato don Vitaliano.
“Appena l’ho visto sono crollata. Non è più il mio Gesù, è sfigurato, pallido, curvo sotto il peso della croce”. La voce di Maria che nella quarta stazione incontra suo figlio. Tra le immagini proiettate, anche uno stralcio di intervista alla mamma di Cucchi. Con gli occhi lucidi, anche lei vedendo il corpo di Stefano massacrato di botte ha esclamato “Non è mio figlio”. “Ancora più atroce se il figlio, innocente, sta morendo per mano della presunta giustizia umana” ha pronunciato un popolano nella nona stazione, poco prima della fine di una via Crucis che ha invitato alla riflessione nella Domenica delle Palme. “Non lo si può guardare in faccia, tanto è sfigurato dalle percosse”, ha raccontato uno dei due ladroni. Chi lo interpretava era seduto nei banchi della chiesa, con poche luci accese, e ha contribuito a narrare due storie tanto lontane nel tempo quanto vicine per la sofferenza e l’umiliazione di uomini che hanno pagato con la vita una colpevolezza mai stabilita. Il volto di Cristo crocifisso, così come lo abbiamo visto nelle immagini sacre, nel film di Mel Gibson, nei dipinti, non è tanto diverso dal volto di Cucchi, che attraverso le immagini passate in tv, o in rete, è rimasto impresso nella mente di ognuno di noi. Immagini dure da guardare. E verità difficili da affrontare. “A qualcuno può sembrare strano che abbiamo saltato alcune stazioni o che abbiamo fatto ascoltare canzoni di artisti contemporanei. Ma è un modo per rendere attuale quello che è accaduto duemila anni fa. E apprezziamo la testardaggine di chi ha preparato una via Crucis diversa da quella tradizionale, pensando a Gesù ma anche ai crocifissi di oggi”, ha concluso don Vitaliano.