Lo spettacolo andato in scena martedì sera a Calitri nel corso della riunione dei sindaci del Progetto pilota è stato tutt’altro che decoroso. Il presidente Giancarlo De Vito, che si carica sulle spalle anche la responsabilità di essere il sindaco del Comune capofila, ora dovrebbe iniziare a fare il presidente. Abbiamo apprezzato molto l’umiltà dei primi giorni, l’umiltà di chi è consapevole di limiti dovuti alla scarsa esperienza politica, soprattutto se paragonato al suo predecessore, quel Ciriaco De Mita con il quale oggettivamente nessuno dei venticinque (e anche oltre) sarebbe in condizione di reggere il confronto. Ma chiusa quella fase, chiuso l’avvicendamento al vertice, l’elezione e la costituzione degli organismi che compongono la nuova governance, è tempo che il presidente inizi a vestire i suoi panni.
Le scene cui abbiamo assistito martedì, sia nella discussione sulle strade da finanziare (leggi qui) sia sulla scelta del comune capofila (qui l’articolo), la confusione anche a livello visivo e sonoro di quella assemblea, i toni usati da alcuni dei presenti, i tentennamenti di De Vito, somigliavano molto a ciò che si vede in quelle aule scolastiche dove, di fronte a un professore con poco polso, gli alunni finiscono per mettere i piedi sulla cattedra. Quello che abbiamo visto non ci è piaciuto perché, da una parte e dall’altra, c’è stato il tentativo di prevaricare, di mettere spalle al muro, di forzare. Non c’è piaciuto perché si è palesato già alla terza assemblea presieduta da De Vito, seconda se non contassimo l’insediamento. Non si può certo parlare di stanchezza. E’ accaduto al secondo tentativo di trovare la quadra su un finanziamento di appena 6 milioni di euro. Dopo una riunione in Provincia che, stando alle parole del sindaco di Guardia Lombardi, non sarà ricordata come una prova di efficienza. Dopo un deliberato che a distanza di una settimana dalla sua approvazione ha rischiato di essere completamente stravolto.
Delle due l’una: o il presidente ha scarsa autorevolezza, oppure gode di nessuna considerazione da parte dell’assemblea che pure lo ha designato. Banalmente, ma neppure troppo: in qualsiasi aula, in qualsiasi consesso, esistono delle regole su chi, come e per quanto tempo si prende la parola. Presidente, glielo diciamo chiaramente: metta dei paletti e, soprattutto, prenda in mano il pallino del gioco, altrimenti nel giro di un paio di settimane si troverà a essere soltanto quel passacarte che proprio martedì sera lei ha sottolineato di non sentirsi e di non voler essere. Ora che il capofila, come è stato per il passato coincide con la presidenza, declini in salsa altirpina la sua esperienza a livello manageriale. Mostri uno scatto di orgoglio, faccia vedere che quel posto non lo ricopre solo per un calcolo partitico.
Perché la partecipazione, la collegialità, l’assemblea sovrana sono tutte cose assolutamente condivisibili, ottimi principi sui quali fondare il lavoro della Città dell’Alta Irpinia 2.0. Ma questo non significa che il vertice non debba manifestare una leadership, che non possa o non debba trovare in prima persona soluzioni o prendere decisioni. Un presidente può e deve risolutivo. Non può uscirsene con un fate vobis.