Un’area industriale dai due volti, quella del Calaggio nel comune di Lacedonia. Un condensato di discreti successi e grandi fallimenti in 252mila metri quadrati, dove lavora poco più della metà degli operai previsti (616 addetti per la 219/81, attualmente circa 350).
Tra i fallimenti ha fatto molto rumore per diversi anni quello della ex Mulat: tribunali e aste fallimentari fino allo scorso anno quando Conditalia, azienda nocerina del settore conserviero, acquistò lo stabilimento – poi bonificato dall’amianto – e iniziò i lavori di adeguamento. Solo che l’attività ancora non è partita.
“La nostra è una zona che non presenta pozzi quindi la proprietà di Conditalia si è rivolta all’Acquedotto Pugliese per ottenere la fornitura di acqua – spiega il sindaco di Lacedonia Mario Rizzi, che sta seguendo il caso – Il problema è che l’Aqp ha proposto il prezzo di 67 centesimi al metro cubo, mentre nel foggiano la vende a 32, sostenendo che lì non è potabilizzata. Una tariffa così alta riduce notevolmente il vantaggio di produrre a Lacedonia piuttosto che a Nocera, perché quello che si risparmia in costi di trasporto da/verso la Puglia evapora con l’acqua”.
Ha avuto vita a dir poco tormentata anche la ex Bullonerie Meridionali chiusa nel 2003. Lo stabilimento, partito nel ’92 con 15 operai, prima della chiusura contava 110 unità, tre miliardi di fatturato e commesse nel Nord Italia e all’estero. Si decise per una nuova apertura a Roccabascerana, poi iniziarono le difficoltà: di debito in debito fino al fallimento, seguito da anni tra tribunali e burocrazia. Nel 2007 si chiuse pure un accordo con il gruppo Vitillo di Ariano Irpino attraverso la Tekno Hose.
Oggi le Bullonerie fanno ancora parlare di sé non per i numeri realizzati (i capannoni sono inattivi), ma per l’amianto: nel 2013 infatti otto ex dipendenti presentarono esposto in Procura e richiesta di prepensionamento per essere stati a contatto con l’asbesto, la cui presenza nei capannoni risultava da atti del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi datati 2006.
Realtà storica a Lacedonia è la Italpack Cartons srl, qui dal 1987. Andamento altalenante per l’azienda che produce contenitori per alimenti in cartoncino poliaccoppiato. Oltre 120 dipendenti e catena di montaggio che però subisce gli effetti della crisi. Accanto alla Italpack, dove un tempo c’era la fallita Merifil, dovrebbe sorgere lo stabilimento della De Iuliis Macchine, società salernitana del settore metalmeccanico che nel 2013 ha sottoscritto attraverso il consorzio Ecotech un accordo di programma con la Regione da circa 3 milioni di euro. Ad oggi gli impianti al Calaggio non hanno ancora preso forma, ma qualcosa a breve dovrebbe muoversi.
Si “muove” bene invece la Trasporti e Logistica Lo Conte srl, azienda dell’indotto Fiat: una quindicina di addetti, al Calaggio dal 2007. Vanno bene le cose anche alla Sigit, insediata nel 2005, sempre indotto Fiat per cui realizza termoplastici (una trentina di dipendenti e recenti nuove assunzioni, tra giovani della stessa Lacedonia, incentivate dalla nuova fase del management Marchionne). Attiva pure la Irpinia Zinco srl, una delle poche aziende della prima tranche di insediamenti che ancora resiste, con i suoi 40 addetti impiegati nella zincatura di prodotti siderurgici. Nel lotto accanto la “partner” Serind srl, che con una decina di lavoratori effettua verniciatura per conto terzi.
Anche quella della OMI srl (Officine Meccaniche Irpine) è una presenza storica al Calaggio. Da 30 anni opera nel settore dell’aerospazio con clienti del calibro di Agusta Westland, Alenia Aermacchi, Mbda Missili and Systems. Circa 80 dipendenti cui dovrebbero aggiungersi altre 120 persone grazie all’ampliamento del programma Caltec (Calaggio Tecnologico) destinatario di un finanziamento da quasi 4 milioni di euro.
Insomma, è senza dubbio il metalmeccanico il settore trainante dell’area industriale che nelle idee iniziali doveva fare anche agroalimentare e tessile. Al tessile ad esempio apparteneva la I.T.C., anche questa fallita lasciando a casa oltre 60 persone.
Fallì pure la Seva Nylon (poi Tec-In) al cui posto arrivò la Ecoservice di Petruzzo Anna Rita & C. con i suoi circa 50 addetti impiegati nel trasporto merci su strada. Qualche anno fa alla Ecoservice si parlò di stoccare temporaneamente rifiuti. La popolazione insorse, l’allarme rientrò.
C’era un bosco da 21 ettari di querce là dove sorse il nucleo industriale del Calaggio. Il casello autostradale a due passi, la Puglia pure. Piccole o grandi potenzialità, a seconda dei punti di vista, valide anche per l’oggi.
Bisogna modificare il regolamento regionale in materia di riutilizzo dei capannoni dismessi”.
“Andrebbe fatto di più sul piano dell’efficientamento energetico dell’area – sottolinea il sindaco Rizzi – così da rendere autonomi gli stabilimenti ad esempio installando pannelli fotovoltaici sui tetti. E poi bisogna modificare il regolamento regionale in materia di riutilizzo dei capannoni dismessi (al momento sono due: quelli della ex I.Cont poi diventata ex Ingred, e della ex I.T.C, ndr). E’ improponibile che se un bando va diserto, qui in Campania il secondo non preveda ribasso”. Ma c’è anche un’altra questione che va quanto prima risolta: una frana che da anni minaccia l’area industriale. “Abbiamo sottoscritto a novembre un protocollo di intesa con Asi, Provincia, Protezione e Genio Civile, Prefettura e aziende – riferisce il primo cittadino di Lacedonia – ma mentre il Comune e l’Asi hanno già stanziato le risorse, i lavori sono fermi perché mancano otto mila euro della Provincia. Gambacorta ci aveva assicurato impegno per sbloccarli (la firma risale alla presidenza Coppola, ndr): spero che essendo finita la campagna elettorale possa farlo”.