38 anni, la distanza da quel maledetto 23 novembre del 1980. 38 anni dal giorno del terremoto. Inizia a sembrare doveroso soltanto ricordare vittime e sfollati, cominciano a ingiallirsi anche le pagine di Wikipedia. Oggi è il giorno della commemorazione dei morti. Il giorno dei bilanci, di quello che si poteva fare, di ciò che sarebbe ancora possibile fare. E’ sempre una specie di rituale, in cui i protagonisti di quella stagione dicono le stesse parole o cercano affannosamente di trovare nuove formule, salvo poi constatare che da anni si sia in standby pure sulle parole. L’Irpinia è ferma, sospesa. Lo è stata in quelle drammatiche ore della scossa, lo è stata nelle settimane e nei mesi a venire. Allora l’Irpinia era ferma, come in un incubo in cui non puoi muoverti. Adesso è immobile, come in un sogno strano o in vista di un’utopia. La differenza l’hanno fatta i lutti, la perdita delle case e delle cose.
Chi può creare una stagione di sviluppo per l’Irpinia? E come? Sono le uniche domande che ci sentiamo di fare, a prescindere dalle colpe e dai meriti di chi ci ha traghettato per 38 anni. Le prospettive per Avellino e provincia continuano a essere confuse, e sono soggetti misteriosi anche coloro che dovrebbero prendere in mano questa terra. Si parla di infrastrutture (Stazione Hirpinia, Lioni-Grottaminarda) e non riusciamo a individuare altri soggetti che i politici di oggi e dei prossimi anni. Oggi come allora? Forse. Perché intanto la politica, fino ad ora protagonista, si è eclissata sotto i colpi dei tempi che cambiano, della crisi che ovviamente non è solo qui. E anche sotto i colpi della sua stessa incapacità ad adattarsi alle nuove sfide. Succede quindi che il mondo imprenditoriale abbia gioco facile nell’imporsi come riferimento. Quasi a rappresentarsi come sogno (o utopia) per quelle poche migliaia di irpini rimasti. Ema (realtà solida), Borgo 4.0 (in fase di ideazione), Confindustria coi suoi tanti progetti in campo.
Prospettive, acqua nel deserto sul fronte occupazionale, che sembrano anche più concrete rispetto alla costruzione di un percorso turistico. Perché, cosa che ci si ostina a non voler capire, per costruire l’Irpinia del turismo servirebbero almeno 10-20 anni. Le esperienze di altre zone d’Italia dicono questo, non si scappa. 10-20 anni, sempre che tutti remino nella stessa direzione (cosa alquanto improbabile nell’Irpinia dei campanili e delle rivendicazioni). E in 10-20 anni, in teoria, si fa la stazione Hirpinia, si termina la Lioni-Grotta, si piazza la banda larga ovunque e si innalzano industrie moderne. Detta così potrebbe sembrare facile. Dovremmo solo resistere e aspettare che l’imprenditoria, coi brandelli della vecchia politica e con i dubbi verso la nuova, faccia il suo corso. Noi però crediamo che non sia tutto così lineare. Intanto governare un processo di sviluppo di una zona non può essere delegato solo ai privati. Poi occorrerebbe in ogni caso una prova tangibile dell’impegno di questi. In ultimo sarebbe necessario un tavolo di confronto più snello (rispetto al vecchio patto per lo sviluppo) che dia indicazioni e risultati mensili sullo stato dell’arte di lavori, prospettive, idee.